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A volte bisogna scrivere (2000)

Tricase è stata in questi venti anni il mio grande laboratorio. Da quando ho ricordi adulti, sono convinto che un posto vale un altro per vivere e morire. Per il mal di vivere non c'è un posto migliore dell'altro. Per questo considero Tricase un luogo fisico, un luogo materiale (estremo sud-est d'Italia, 97 mt. sul livello del mare, 18.000 abitanti), ma anche una Macondo italiana, un posto dove scoprire la diversa umanità e divertirsi a tirar fuori le ipocrisie. Politiche e familiari.

Avendo scelto di fare l'imprenditore o comunque attività autonome già a diciannove anni, alla fine degli anni '70, non potevo che esser fuori dagli schemi. Fino ad allora infatti nel nostro paese un diplomato con buoni voti, figlio di un buon impiegato statale, non poteva che diventare dottore, consulente o al peggio, impiegato all'università o alle poste. Gli imprenditori erano o ricchi latifondisti, figli di ricchi latifondisti o piccoli artigiani, che maledicenti la loro condizione, la accettavano come unica alternativa all'emigrazione (in attesa del posto alle poste). Ritenevo questa condizione di autonomia come l'unica in grado di garantirmi libertà di movimento a tutto campo. Potevo parlare di politica senza avere timori referenziali, parlare e giocare a calcio, godermi le stagioni estive e dissertare sul turismo e sulla castità. Così pensavo. Potevo, con grande sollazzo, specializzare il mio personale laboratorio e pensare in grande, da Tricase. Non è un ruolo facile, ma certamente divertente e stimolante. E poi così davvero è stato: difficile ma bello, oppure esattamente quello che volevo.

E quando sei così devi anche aspettarti delle attese di perfezione, che sono aspettative inutili, stando in questo mercato (spesso non-mercato), in questo Stato e in questo mondo.

Fare l'imprenditore con la voglia di dire quello che si pensa, e votare magari a sinistra perchè vorresti un pò più di attenzione agli uomini come specie da salvaguardare e poi cercare di trasmetterlo in pratica, con la famiglia e gli amici, è per Tricase impresa che spiazza. Se fossi a Teheran sarei sul patibolo, a Copenaghen sarei nella noiosa normalità. Qui non avere "protezioni" di nessun tipoè un grave errore, ma santi, politici e banchieri sono alquanto insopportabili. Anche se poi basta ottenere un qualcosa che è un tuo sacrosanto diritto per essere considerato comunque un "amico degli amici". Certo a Tricase, come in Italia, con questi presupposto si resta piccoli e forse anche questo è da considerarsi normale. Devi sempre decidere quanto vale il denaro,la tua famiglia e la partita di calcio del sabato con gli amici di sempre...

...rileggendo vecchi articoli e coglionerie varie mi è venuta una sola nostalgia: quando avevo la testa giusta per andare a Depressa o a Lucugnano, trascorrervi, senza telefonini, due o tre pomeriggi a parlare con tutti e scrivere qualcosa con lo stesso spirito di un inviato di guerra, che divagando sul tema, trova la vecchia bionda ossigenata che seduta sul ciglio della strada ti dice: "sto studiando da Angela ".

Alfredo De Giuseppe

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