1977-05 "Mostra di Tutino: rinasce una tradizione?" - Nuove Opinioni, con C. Cerfeda e GGT
Dal 14 al 24 aprile, nel castello di Tutino, per l’entusiasmo del locale gruppo giovanile, è stata allestita un’interessante mostra (la prima del nostro Comune), che si può definire di “riscoperta” di una civiltà popolare e contadina. Approfittando dell’avvenimento, in altro articolo N.O. sottopone all’attenzione dei lettori il problema dell’artigianato locale. Perciò abbiamo preso già contatto con alcuni diretti interessati e con le autorità comunali per collegare alla prima una seconda mostra-mercato estiva. Vorremmo che si riflettesse su quanto è stato fatto dal gruppo giovanile e sui motivi della loro ricerca. Ci piace sottolineare un fatto: la rinascita del senso collettivo inteso come momento comunitario che nell’organizzazione del lavoro si evidenzia con maggiore forza. Esso è un valore che, nella nostra società in crisi, può dare un minimo contributo alla soluzione di problemi attuali. Però un interrogativo nasce spontaneo: facciamo ogni sforzo per comprendere il valore del senso comunitario dell’esistenza, con tutte le conseguenze morali e sociali che esso comporta?
Carlo Cerfeda
Una realtà sociale che combatte la diversità; voglia di avere un proprio spazio; esigenza di rendere collettivo ciò che è stato inteso come esclusivamente personale; riscoprire il passato e riviverlo diversamente da come l’abbiamo appreso dai libri; tutto questo ci ha spinti a ricercare attraverso le mostre, il collegamento con gli altri. Il contatto, anche se solo fisico, di un momento può essere la spinta necessaria per approfondire il rapporto stabilitosi in questo modo. Scoprire, discutere, verificare: sono tre degli infiniti punti che ci preme sottolineare.
“Meraviglioso, ma bisogna continuare”; “bello, speriamo continui”; “è incompleta, si dovrebbe ampliare”; “se siete bravi, mettete l’acqua nel fossato del castello”; “se insieme vogliamo una cosa, la otteniamo”…Queste sono state alcune tra le migliaia di conclusioni, stimoli e apprezzamenti registrati con i visitatori delle mostre. Che significa ciò? È fin troppo facile rispondere: sono tanti i rapporti iniziati, tanti discorsi che potrebbero, dovrebbero essere portati avanti per conoscere i fatti, la storia, la vita. Due delle tre mostre allestite richiamavano direttamente il passato. Lo illustravano attraverso gli attrezzi che lo hanno caratterizzato nel campo del lavoro. Cercavano di creare, all’interno di chi ad esse si avvicinava, lo stimolo a ricercare e riscoprire la cultura popolare nelle sue manifestazioni artigianali originarie, non ancora artefatte dalla (obiettiva) visione storica.
Gli attrezzi da lavoro erano lì a testimoniare l’enorme fatica dell’uomo che lotta per la propria sopravvivenza, la sua capacità ed inventiva a superare le difficoltà naturali e materiali, l’organizzazione di persone, cose ed animali, a volte fuse insieme in necessaria simbiosi, che permetteva e facilitava il superamento di situazioni più pesanti. Attraverso alcuni oggetti soprattutto, venivano espressi stati d’animo, aspirazioni, rassegnazione pacata. Le caratteristiche peculiari della nostra terra salentina, artigiana e contadina, erano simboleggiata da una serie di cose la cui utilità d’impiego oggi sarebbe relativa. Ma hanno avuto importanza ieri! E la loro impronta risulta agli occhi dei contemporanei ancora estremamente lucida.
La disposizione degli oggetti, non cronologica né obbediente a canoni estetici, era tuttavia di un’estrema e semplice funzionalità. Questo perché la necessaria rozzezza non apparisse falsamente modificata da inutili e gratuiti preziosismi, miranti ad impressionare benevolmente lo spettatore piuttosto che a farlo riflettere. Il frantoio, comune “trappito” simboleggiato da fisculi (quartare, pignatedde, ecc.) nella mente del visitatore sveglio, si sarebbe dovuto trasformare in immagini, raffiguranti scene di fatica, di sacrifici collettivi: luogo di sforzo fisico e morale sempre comunitario. La raffigurazione del lavoro domestico femminile, anche se ravvivata da qualche moderna lampada colorata, era monotona come, in effetti, lo erano e continuano ad esserlo le occupazioni delle nostre donne. Le quattro mura domestiche, continuano a racchiudere un potenziale di forza che mai ha avuto considerazione adeguata in una società maschia.
Mettere in mostra alcune delle pesanti difficoltà del lavoro domestico vuole significare la volontà di uscire dal chiuso che le donne sentono di esprimere, onde conquistare il giusto posto di una società che “deve cambiare”. Gli strumenti, tutti rudimentali, non hanno niente da invidiare in quanto a difficoltà d’uso a quelli usati dall’uomo. Anche per questo la loro esposizione voleva essere la prima dimostrazione pratica della necessità di una rivalutazione della donna e del suo lavoro.
I bambini l’hanno fatta da padroni: la loro creatività è esplosa interessando un po’ tutti. Noi abbiamo molta fiducia in loro…
“Nuove Opinioni” – 15 Maggio 1977
Alfredo De Giuseppe
per il Gruppo Giovanile di Tutino