1988-07 "Magnifico rettore, non so più che dire" - Nuove Opinioni

Magnifico rettore, le scrivo queste poche righe perché penso che lei vorrà rispondere. Ad altro che ritengo più impreparati nella difficile arte del pensare è da molto che non chiedo. Mi limito a brevi cenni di testa, a brevi battute sarcastiche e banali, a sofferti sì, a qualche caffè. Mi faccio violenza ma non oso chiedere, non oso proporre, non oso arrabbiarmi.

Il livello di prostrazione pubblica, il livello di sofferenza è talmente tracimato, da vedere sempre più spesso il lavoro come unico modo di vivere questo paese.

Parlo di lavoro e basta, questa è la regola (e mi sento un po’ il contadino di cinquant’anni fa che non aveva molte altre distrazioni).

Ognuno per la sua parte, ognuno in relazione al suo modo di vivere, credo che oggi senta per Tricase questo tipo di insofferenza, questo peso dell’immobilismo.

Dieci anni fa, non lo nascondo, amavo di più questo posto (forse mi divertivo di più) e volevo cambiarlo. Oggi non più, forse anche perché il cambiamento dall’interno non appare mai tale.

Ma oggi più di ieri vedo un popolo senza memoria, senza coscienza di sé, senza dignità, sempre più servile, sempre più pigro, indifferente. (Perché non viene qui un bel tipo e non scrive il più bel romanzo del scolo?).

E lei, magnifico rettore, è persona troppo sensibile per non avere queste percezioni, troppo intelligente per non sentire sempre più forte un’incombente monotonia, questo disastro collettivo.

Lei che viene usato e poi distrutto. Lei che tra poco sarà chiamato in qualche retorica, stupida manifestazione. Lei potrà risalire sulle scale di qualche sagrato per ricevere un premio o per tagliare un nastro.

Lo riconosco: la sua posizione era scomoda e lei ha cercato di usare il suo carisma per violentare questo paese o almeno la sua parte dominante. Quando era ormai chiaro che lei, eroe romantico, non ci sarebbe riuscito, speravamo in una sua denuncia pubblica, in una dura riflessione.

E invece il silenzio. Per noi che guardavamo dall’esterno è sembrato che per lei fosse tutto apposto.

Il Ponziopilatismo ha colpito ancora.

Per noi che stiamo tentando di lavorare in maniera più pulita, più trasparente, che ogni giorno sgomitiamo per non farci travolgere dal tumulto ideologico-affaristico di questi tempi, che vogliamo avere interlocutori sensibili e pronti, che vogliamo sentirci nella realtà anche senza schierarci apertamente con qualcuno (a meno che tra poco non diventi obbligatorio), per noi – dicevo – è stato un colpo duro. È brutto un paese dove l’intelligenza sconfitta rimane pure in silenzio.

Aspettavamo un suo grido e non c’è stato.

E forse il grido dell’intelligenza non ci sarà mai.

Non mi faccia ripetere tutte le pappardelle e tutti i programmi così ben esposti in questa campagna elettorale. Vorrei solo dirle che in questa logica di governo attento e corretto c’è bisogno di dar voce alle cose che cambiano, di creare dei punti di riferimento ideali per intraprendenza e intelligenza (guarda caso, parola mai ascoltata negli ultimi comizi). Se è utopia lasciamo perder e pensiamo ai nostri figli, se è una strada praticabile lei ha sbagliato. E insieme a lei i vari Giacovazzo, Hervè Cavallera, Ercolino Morciano, Tonio Facchini e tanti altri, gli uomini cioè con l’esperienza giusta, il talento, l’onestà, la vocazione, la cultura, l’intelligenza per governare.

Anche per chi non avrebbe comunque governato il paese, sarebbe stato importante questo gesto nuovo o almeno questo grido dell’intelligenza (c’è chi dice che gli apparati di partito, una specie di nomenklatura di brezneviana memoria, non avrebbero in ogni caso accettato quella lista), perché anche il semplice gridare avrebbe rotto quel muro di gomma che ci sovrasta.

E non mi dica come ha detto all’Espresso che è una questione caratteriale, che noi leccesi, barocchi e sciroccati diciamo sempre di sì a tutti (ricorda il vecchio Cordacci?) perché in questa politica del disturbo si dicono ormai solo dei no.

 

P.S. – A qualcuno che con una certa frequenza mi chiede come mai non mi diletta più a scrivere qualcosa su questi fogli rispondo che non ho più il tempo di leggere molto e quindi non trovo l’ispirazione per scrivere. A lei che è stato il mio esaminatore di maturità, che mi ha fatto domande sul romanticismo minore e sul “Meriggiare pallido e assorto” le posso confidare un segreto: non so più che dire.

 

“Nuove Opinioni” – Luglio 1988

Alfredo De Giuseppe

 

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