1997-03 "1977, una rivoluzione in provincia" - Convegno sugli anni '70 organizzato in Galatina
E adesso che siamo nel ’97 e abbiamo imparato a rievocare qualsiasi cosa, mi chiedono di parlare del ’77, dell’ultimo grande rigurgito del ’68, e delle sue implicazioni su Tricase. Ho sempre evitato di fare, in questo campo, operazioni politico/nostalgiche perché le ritengo fuorvianti rispetto alla realtà di quel tempo e alla comprensione di quella attuale. Spesso finisce con un “ah, quelli si che erano tempi”, che allontana l’interlocutore e ti isola nei tuoi pensieri. Non mi sono mai rassegnato che quelli erano i tempi giusti e che poi non sia stato più possibile combinare niente di buono, se non ricerca sfrenata di denaro, lussi e tranquillità. È bello vivere dal di dentro le realtà più vivaci del momento, esserne parte, sapendo sempre che ogni cosa ha il suo giusto sapore solo in quel dato momento, come un piatto di spaghetti alle cozze non può essere mangiato scotto o surgelato. Ma oggi, obiettivamente, non posso esimermi dal parlare di quegli anni e quindi dei miei vent’anni.
Alcune mie scoperte furono la scoperta di un’intera generazione (oh quanto è difficile parlare di generazioni) e senza ordine mi sovviene la scoperta dell’Ajax di Cruijff e Kroll, quella delle radio “libere” e dei cantautori, di un’aria frizzante di novità che non avevamo respirato a scuola, e poi le serate al porto d’inverno a telefonare agli amici universitari, Nuove Opinioni e amici dappertutto, la voglia di sovvertire il mondo e ridargli l’armonia antica, quella sconfitta degli indiani d’America, in un misto non decifrabile di incoerenze e ingenuità, di vere ricerche e lotte inutili, di piacere irripetibile di stare con tante persone a parlare di se stessi per ore, senza annoiarsi mai. E poi quelle assemblee politiche dove le idee forti e controcorrente, anche contro certe abitudini della sinistra tradizionale, finivano per primeggiare, per farci diventare ancora più uniti. E poi il riflusso.
Quando vidi per la prima volta giocare Cruijff rimasi affascinato dalla carica innovativa del suo gioco: riusciva ad essere tecnico e veloce, goleador e centrocampista nella stessa partita, e poi Kroll in difesa mi sembrava un marziano imbattibile per forza e velocità e quando lo vidi calciare il pallone a settantametri con una facilità spaventosa, decisi che quello era il mio calcio. Per anni sono stato uno studioso dell’Olanda calcistica e mi piaceva anche il fatto che non vincevano ma spesso arrivavano secondi. Le interviste sul modo semplice di vivere il sesso dei giocatori olandesi andavano a ruba: parliamo di tempi in cui l’allenatore consigliava di stare lontano dalla moglie per intere settimane.
Le radio “libere” furono vissute come un’epopea. Oggi non possiamo più immaginare cosa significhi una vita con due soli canali, praticamente senza musica leggera, con le spasmodiche attese di “Alto gradimento” di Arbore e Boncompagni e “Supersonic” la sera alle nove. Ricordo i manifesti della prima radio locale: “Radio capo, 102.5 mhz, un impegno per un Salento migliore”. Io c’ero su quella capanna naif, sulla serra di Specchia da dove trasmettevamo come rifugiati politici in fuga dalla noia di Stato. Conducevo una trasmissione (“Radioactivity”) che faceva ascoltare di continuo cantautori e musica country americana, cose superinnovative rispetto alla cultura mediatica del tempo. Il pubblico aveva un’ingenuità di nuovo tipo, misto ad una curiosità per questo modo di fare che non gli sembrava possibile. Venivano centinaia di persone in pellegrinaggio verso la nostra capanna per capire qualcosa di più, per vederci, per partecipare ad un evento che parlava di loro. Era davvero un grande evento. Avevo diciotto anni e ricevevo decine di lettere al giorno, alcune lunghe anche dieci pagine che mi parlavano di tutto. Cominciai ad incazzarmi, quando invece di impegno per il Salento diventammo semplicemente “musiche con dediche per il Salento”.
E allora preferii gli amici di sempre con i quali riuscivo a godermi Tricase in tutta la sua pienezza, con estrema differenza fra estate ed inverno. Avevo le giornate sempre impegnate di Tricase, seguivo tutte le manifestazioni culturali, sportive ed anche qualche consiglio comunale: avevo programmato una vita d’impegno. Tutti i miei compagni di classe partirono per l’università, mentre io preferii rimanere, giocare al calcio e interessarmi del mio paese, anche con il lavoro. Però rimanemmo in contatto con tutti gli amici: avevamo scoperto una cabina telefonica a Tricase Porto, che con un solo gettone ti permetteva di chiamare per ore intere. E allora, prima le mega riunioni di politica e auto-coscienza e poi telefonate e giochi sulla banchina del porto con il mare di novembre, aspettare l’onda e vedere chi si bagna, chi è veloce a saltare su. Tricase Porto nel ’77 era vuota già a settembre e anche noi andavamo a letto molto presto, la moda di tirar tardi la notte arrivò alla fine degli anni ’80. La discoteca “El Condor” apriva alle otto di sera e a mezzanotte era già chiusa. Il mercato coperto era in piazza Cappuccini già da qualche anno e ancora vi entrava qualche cliente. Al cinema vedevamo il primo Nanni Moretti negli ultimi colpi di cosa del Cineforum. Oggi i due cinema di Tricase proiettano solo films di prima visione, mentre nel ’77 imperava l’Hard Core. Le nostre serate migliori erano alla pizzeria “da Gino” su largo Santa Lucia, che è stata l’unica pizzeria di Tricase e dintorni per decenni. Quando trovavi anche le polpette al sugo era festa. L’unico albergo ristorante “Vantaggiato” era un posto dove incontravi tutti, calciatori, artisti vari, viveur, notabili e politici. Nel ’97 è arrivata la “Pay per View” per la gioia dei tifosi di calcio: nel ’77 al “Club Juventus” si vedeva la partita tutti insieme. Lo stesso club organizzava ogni anno almeno cinque-sei manifestazioni sportive di un certo interesse.
Alcune grandi battaglie politiche si conducevano con entusiasmo coinvolgendosi in vari livelli intellettuali, fino a quello di “Nuove Opinioni”, considerato un po’ ermetico e narcisista. Le grandi rivoluzioni arrivavano sfumate: la P38 non si è mai vista, qualche ragazzino aveva la fascetta in testa come gli “indiani metropolitani”, gli spinelli rimasero uno sport per pochissimi. La rivoluzione in provincia era una sfida strana, mancavano gli operai ed una vera coscienza di classe, e poi rispetto ai primi anni ’50, tutti sentivano il benessere, tutti provavano l’ebbrezza delle prime cose inutili (fosse anche un soprammobile). Del resto noi non avevamo nessuna voglia di essere inquadrati come “marxisti-leninisti”. Il nostro principale interesse rimaneva ancorato alla realtà di Tricase ed era quello di uscire da un oscurantismo culturale/politico che si rifletteva immediatamente sulla nostra vita quotidiana: la ragazza che non poteva uscire di casa, con le famiglie arroccate su un pessimo moralismo di facciata, le istituzioni lontane dai nuovi bisogni giovanili (musica, sport, confronti con altre realtà). In mezzo a tutto questo c’era spazio, e molto anche, per una varia umanità scomposta e disordinata, che si aggrappava a qualsiasi cosa sembrasse un po’ di vita, senza alcuna convinzione, senza nessun vero obiettivo.
Mi si chiede se Tricase e i suoi abitanti venti anni fa fossero meglio o peggio. Provo a rispondere: quando ci fu il “riflusso” sul finire degli anni ’70 cercammo di capire cosa volesse veramente dire ed oggi lo posso reiterare. Era quella voglia matta familistica ed egoista di pensare ognuno ai cazzi nostri, una cosa voluta da tutti, per uscire da quella ubriacatura collettivista, che un po’ asfissiava. Una vita troppo intensa e assorbita dai problemi sociali e del mondo intero era una tortura intellettuale che ti faceva stare male, mentre un altro mondo sembrava vivesse felice. E poi, diciamolo francamente, nelle giornate nere, diventava complicato anche andare a prendersi un gelato, per decidere la cosa più banale si finiva per litigare in trenta.
Non so se il risultato della realtà sociale di oggi possa considerarsi nello standard immaginato di qualità della vita, (certamente pieno di cose), ma chiudo gli occhi un attimo e vedo quattro ragazzi senza soldi che, con una vecchia 500, consegnano le guide telefoniche in tutto il basso Salento e scoprono al sole di gennaio l’incanto di posti ancora medievali, una casa di Tutino semidiroccata, sede di riunioni e dibattiti organizzati e senza limiti, ad interrogarsi su tutto e niente, con una seria ironia, in mezzo a vetrinisti pazzi, muratori e fruttivendoli stanchi, artisti confusi, attori incompresi, giornalisti falliti, avvocati e dottori “in pectore”. E intanto sul piatto dello stereo acquistato da “Selezione” girano i 33 giri di Dalla, Guccini, Van Morrison e John Lennon.
Convegno sugli anni ‘70
organizzato in Galatina – Marzo 1997
Alfredo De Giuseppe