1998-09 "A volte basta un semplice" - Il meridiano
Uccio Aloisi ha una faccia antica. Quando lui tocca il tamburello la stanza diventa un enorme casa di risonanza. Le sue dita non si muovono con una velocità esasperata, ma cercano il punto esatto, quello che fa sentire le vibrazioni dal sapore ancestrale. Il suono è potente ed emozionale ma sempre in perfetta sintonia con la sua voce contadina. Una voce non contaminata, che non ha studiato dizione, né bel canto, ma che si libera quasi inconsapevolmente, nonostante una dentatura malferma e una serata un po’ afona da raffreddore. I suoi accompagnatori sono perfetti nell’adagiarsi i suoi ritmi e a coinvolgerlo emotivamente, anche con tremende battute in perfetto dialetto di Cutrofiano. Mangia con gusto la “cipuddata e uova”:
- “Menu male pè sti quattru sordi de pensione se no muria de fame e poi me l’hannu dati moi ca nu tegnu denti cu manciu”. E giù a ricordare di aver fatto tutti i mestieri, dal contadino raccoglitore di letame o di argilla o di pietra senza mai guadagnare oltre la pura sopravvivenza. – "Muierma putia dire tutte e cose. E iddra sane sempre divartuta quannu sape ca ieu me divertu. Putia sunare, cantare e ballare finu a crammane e iddra è cuntenta, puru intra lu liettu".
Lui ha sempre suonato e cantato, accompagnato per anni da altri due Ucciu, di cui uno, Uccio Bandello aveva una voce bellissima, e per una vita sono stati quasi gli unici, veri interpreti della cultura salentina, quella stessa cultura sotterrata dai professori. Una cultura forse povera, ma fatta di grandi sentimenti, un sentire comune, una sessualità gestuale, geneticamente vissuta affianco a greci, latini, bizantini, arabi, spagnoli e francesi. Grandi insegnamenti ci sono da cogliere nella vita di questi nostri. Ma al di là di tutte le massime filosofiche, la semplicità e l’umiltà con la quale affrontano il loro essere artisti dovrebbe essere un fulgido esempio per tutti noi. Siamo in verità un po’ stanchi di artisti che si sentono un élite inarrivabile perché hanno letto più di due libri di seguito sullo stesso autore, che sanno distinguere bene i posti dove andare per darsi un tono, dimenticando che la musica popolare canta ovunque senza tante prevenzioni, organizzazioni e sofisticazioni. Siamo realmente stanchi di questi artisti costruiti per la televisione, belli, tonici e sorridenti, artisti del computer e dell’auditel. E anche di tutti questi teorici dell’arte, sempre attenti a non sacrificare niente, né di se stessi né dei pronti denari e anzi sempre pronti a prendere. Cantate, ballate e siate liberi almeno una volta: questo ci ha voluto dire Uccio.
E quando si è fatta un’ora tarda e il vino meglio corroborato voci e mani, lui ha intonato una serie di bellissimi stornelli, Bruno a fargli da incredibile controcanto, Roberto a regalare accordi dolcissimi e Donato a lanciarsi in funambolici assolo, ci è sembrato di cogliere quel qualcosa di inesprimibile che vuole essere la pizzica. E finalmente ci si poteva permettere il lusso di sentirsi bene. Al che Uccio Aloisi, semplicemente, ha chiuso il suo tamburello in una busta di plastica, ha fatto un cenno a Giovanni, ha cominciato a infilare il giubbino da pensionato e ha sussurrato: - Nc’era vulutu u Ucciu a na sira comu quista - . E nessuno ha capito se si riferisse alla sua stessa voce o all’amico di sempre.
Dopo una serata di tamburelli e vino all’associazione “Pietra Viva”, organizzata da Giovanni Pellegrino e con la partecipazione, oltre ad Uccio, di Roberto Vantaggiato, Bruno Spennato e Donato Lupicciu, voci storiche della migliore tradizione della pizzica salentina.
“Il meridiano” – Settembre 1998
Alfredo De Giuseppe