2001-03 "Un sentimento chiamato politica" - Nuove Opinioni
Qualche abbozzo di riflessione sulle prossime elezioni politiche e amministrative. Mi verrebbe di scrivere una lettera aperta al dott. Berlusconi, ma suppongo che non sia un abbonato di N.O. Vorrei parlargli del conflitto d'interessi, che non è un'invenzione dei "comunisti", ma un valore portante di tutte le democrazie adulte. (Il fatto che lui lo rifugga e che quasi tutti gli italiani non lo ritengano importante denota la fragilità della nostra cultura democratica). Vorrei parlare di Bossi e dei silenzi che circondano le sue vere intenzioni: fare due Italie, magari non formalmente, ma nella sostanza, certamente. E di Fini che, discendente diretto dell'ultima (tragica) dittatura italiana, bacchetta gli altri sui valori della democrazia di popolo con aria professorale (anche se poco dotta). Potrei tentare di dire qualcosa anche ai leader della sinistra, che, al di là dell’economia, avrebbero potuto cercare qualche segnale di vera novità (qualche squarcio sui segreti di stato, qualche legge più coraggiosa su forze dell’ordine, giustizia, burocrazia, ambiente, ecc).
Ma è soprattutto di un sentimento che vorrei parlare: il sentimento che ognuno di noi ha della terra in cui vive, delle logiche di convivenza civile, della visione dell'umanità nel suo complesso. (Non basta un breve editoriale). Questo sentimento che si traduce spesso in passione politica è così diffuso fra le genti italiche e fra i tricasini? Non mi sembra: normalmente le nostre famiglie sono intente a discutere di problemi ben più pragmatici, oppure a commentare i grandi fatti di cronaca. Pochi giovani analizzano con convinzione una certa situazione politica, poche donne fanno politica, pochi in generale ascoltano un'analisi approfondita per capire dove e come gira il mondo. In questi ultimi mesi si sono aperte grosse diatribe fra importanti storici e giornalisti se l'amor di patria sia sparito dopo l'8 settembre 1943. Ripropongo una tesi: la maggioranza delle popolazioni è sempre stata "utilizzata" e mai veramente informata delle dinamiche del potere. Governare è stata finora l'arte della bugia. E la maggioranza ha "sentito" quello che qualcuno voleva "trasmettere". La maggioranza un po’ ci marciava, un po’ si illudeva, un po’ gli capitava. Ad un certo punto è sparito pure l'aggettivo "clientelare" e da allora la frattura è ancora più evidente: "a che serve partecipare, se poi non me ne torna nessun profitto?" Queste sono le logiche con le quali convive bene una politica del giorno dopo giorno, del tanto peggio tanto meglio e del qualunquismo televisivo. Questa è la situazione in cui un intero popolo va alla deriva, non sa da dove viene e dove va, non comprende chi parla per salvare se stesso e chi predica un'etica più universale. Contesto la nostalgia del bel tempo andato: prima si votava per paura -del prete, del dottore, del militare, del barone-, oggi non si vota o si preferisce il solito imbonitore (ora Berlusconi, qualche tempo fa il venditore di acqua miracolosa a domicilio).
Sarebbe bello votare in ogni piccola Tricase del mondo, per tentare di migliorarsi, perché questa stupida cosa chiamata elezioni, è la cosa più semplice per lottare contro l'arroganza del potere, lo strapotere dei paesi ricchi, le violenze dei popoli contro altri popoli, di alcuni contro i bambini, di molti contro i "diversi". E poi serve ancora per avere scuole funzionanti, poche buche nelle strade, conservare i muretti a secco e qualche albero.
Nuove Opinioni – Marzo 2001
Alfredo De Giuseppe