2001-11 "ACAIT e dintorni" - Nuove Opinioni
Da quando dirigo questo giornale sono "costretto" a seguire con maggiore attenzione le vicende di Tricase e dintorni. Per la verità questa costrizione mi piace, il risultato finale la fa diventare una dolce sofferenza: tenersi informato per informare meglio. Capita così di doversi occupare di scuole sfinestrate o di partiti aperti, delle vicende amministrative, di cultura e sport, il tutto con la massima attenzione. E con la stessa partecipazione cerco di seguire le vicende legate all'Acait e nonostante abbia letto le tante cose scritte in questi mesi ed ascoltato dibattiti e incontri in merito, ho notato delle lacune che sintetizzo:
1) tutte le analisi storiche si fermano alle vicissitudini e ai successi dei primi 40 anni e quasi nulla ci dicono di cosa è successo dal dopoguerra in poi. L'impressione che se ne ricava è che sia mancato il coraggio (o la competenza) di cambiare nei momenti topici, di creare management all'altezza delle nuove situazioni economiche, di intuire in anticipo dove investire la potenzialità cooperativa che l'Acait aveva promosso. E' come se la FIAT dopo i primi successi avesse deciso di non dover più investire in nuove tecnologie, nuovi uomini, nuovi business.
2) Andare a piè pari agli anni '80, alla chiusura reale dell'Acait del '95, quando cioè era diventato il solito inutile carrozzone democristiano dove confinare qualche buon elettore o qualche consigliere scontento, non permette di analizzare in profondità i perché di una crisi che sicuramente era cominciata negli anni '60, quando probabilmente il Giuseppe Codacci Pisanelli, dominus dell'epoca, fu meno preparato ed illuminato del padre Alfredo, che l'aveva fondata in perfetta sintonia con i tempi e nelle stesse modalità delle regioni del Nord. Erano gli anni in cui a Tricase c'era la rincorsa al posto fisso da mezze maniche e le attività imprenditoriali erano vissute come fastidiose anomalie (oggi la stessa maggioranza ha votato come Presidente del Consiglio l'imprenditore più gravato al mondo di conflitti d'interesse).
3) Il famoso "VINCOLO" da apporre al fabbricato, così strombazzato da molti interventi (anche di questo giornale) sembra la panacea di tutti i mali ed invece sarebbe più appassionante un dibattito su che fare dell'Acait e soprattutto con quali soldi acquisirlo al patrimonio comunale e con quali soldi restaurarlo e con quali soldi gestirlo. Mai come in questo caso mi sembra che un'idea produttiva (che abuso di questa parola!) che soddisfi il privato e la collettività possa trovare la giusta dimensione. Non approfondire questi argomenti sembra un modo come un altro per fare teoria, appagare la voglia di bello e giusto che c'è in ognuno di noi e continuare a lasciare le cose così come stanno. Il vincolo in se non sarebbe che un piccolo passaggio, niente senza la giusta idea di utilizzo.
4) L'Amministrazione Comunale (eufemismo di Antonio Coppola, guarda caso con le stesse iniziali) dovrebbe preoccuparsi di sviluppare un'idea valida per la collettività e che si regga sulle proprie gambe, con l'intervento di privati interessati al progetto, piuttosto che vagheggiare l'acquisizione con proprie risorse. L'ipotesi poi di un azionariato popolare mi lascia molto perplesso, visto il fastidio e la difficoltà di qualsiasi "colletta".
5) L'intervento di un privato non deve essere visto come una condanna a morte dell'Acait, ma forse l'unica soluzione praticabile, pur negli accordi che un'Amministrazione (A.C.) accorta saprà stringere, per conservare la facciata storica e per un utilizzo pubblico, seppure parziale. Né del resto penso che ci sia nessuno che pensi seriamente di ripristinare al centro del paese attività industriali o tabacchifici di qualsiasi tipo e marca.
Spero che questi piccoli e sintetici concetti aiutino, nel dibattito in corso, a superare alcuni fraintendimenti, alcuni equivoci e soprattutto a vincere quelle semplificazioni retoriche di chi ritiene che oggi un Comune possa acquisire, ristrutturare e gestire un'opera così complessa e magari senza che nessuno di noi tiri fuori una lira (o un Euro).
Nuove Opinioni - Novembre 2001
Alfredo De Giuseppe