2002-09 "Tricase oggi" - Nuove Opinioni
Tentare di fare una fotografia di un posto potrebbe significare addentrarsi in un microcosmo che ha bisogno di fotografare ogni singolo abitante per capirci qualcosa. Ma con quell’approssimazione sfocata che ci contraddistingue come esseri comuni, proviamo a mettere in ordine qualche idea sul paese che ci ospita, questo Tricase, così comune, così atipico.
Ci sono cose che obiettivamente sono figlie dei tempi e non sono riconducibili alla popolazione di Tricase. Scarso senso civico e sociale, distanza dalle discussioni politiche, una certa oleografia sudista, la scempiaggine televisiva, il berlusconiosmo come fenomeno mondiale, il fittismo come fenomeno regionale, un giornalismo servile, l’idea che il nostro primo mondo sia l’unica strada allo sviluppo, la guerra come sistema infinito non sono difetti di Tricase. Sono interconnessi con il nostro vivere quotidiano ma non li abbiamo prodotti noi.
Le peculiarità di Tricase sono altre e certamente non tutte negative. Ad esempio un certo distacco dai centri, anche provinciali, delle malavita organizzate e semiorganizzate ha creato un ambiente sociale di una certa tranquillità, dove operare da imprenditore è più semplice, dove il vivere quotidiano presenta meno rischi. Niente scippi, rapine, omicidi, racket.Altro fatto positivo è la nostra piccola grande centralità rispetto agli altri Comuni del basso Salento, che, causa la distanza con il capoluogo, ci vedono - per popolazione, offerta commerciale, sanitaria e scolastica- come autentica locomotiva trascinatrice.
Fatte salve queste due premesse, che non sono poca cosa, cominciano quelle difficoltà peculiari che rendono Tricase così unica, anche rispetto al più prossimo dei Comuni.
Intanto la sua geografia non aiuta: troppe frazioni/rioni che si sentono sempre abbandonati. Tanta storia diversa l’uno dall’altro: Tutino con Lucugnano ancora oggi sembrano due mondi diversi. Depressa si sente sempre una Cenerentola. Tricase Porto e la Serra vivono solo d’estate e anche in forme diverse fra loro. Caprarica, S.Eufemia e Tutino, ormai un tutt’uno con il centro, vivono la loro storia come rivendicazione. I governi della città che si sono succeduti nel tempo poco e niente hanno fatto per unire la comunità ed esaltare le diversità dei vari rioni. Nessun collegamento continuativo di mezzi pubblici fra le varie frazioni, nessuna logica edilizia nei vari Piani che potesse realmente avvicinare. Potevamo avere una scuola figula a Lucugnano e dei grandi frantoi a Depressa, potevamo avere un Cinema e un Ristorante invece abbiamo solo le feste patronali, tutte uguali, ripetitive: tutti le vogliono ma nessuno si diverte. Insomma rispetto alle varie Casarano e Maglie maggiore difficoltà di gestire la cosa pubblica, con gli stessi soldi.
Ancora sulla geografia: vado ripetendo da anni che Tricase non può trascendere dai Comuni limitrofi. Tiggiano, Corsano, Specchia, Montesano, Andrano devono essere un tutt’uno nelle scelte ambientali, nelle logiche dei trasporti pubblici, nelle manifestazioni importanti, nelle scelte di siti industriali ed artigianali. L’eccessivo campanilismo ha portato a livelli di distruzione del territorio inaccettabili. Poi facciamo delle cose di facciata, tipo gemellaggi con Comuni come Castro o Castrignano, che hanno un’altra storia e un’altra geografia e di cui nessuno nota alcun effetto pratico. Possiamo diventare una comunità condivisa di almeno 40/50 mila abitanti, un numero minimo per garantire certi servizi e certi finanziamenti, per aree industriali, commerciali e turistiche omogenee e compatibili.. Ci vogliono progetti di grande respiro comprensoriale di cui Tricase deve farsi, con umiltà, promotore.
Siamo cresciuti senza la possibilità di un parco comunale. Non c’è amore per il verde in questa città: siamo rimasti gli unici a non avere neanche un giardino pubblico, un posto dove mandare i bambini con la bicicletta. Eppure gli spazi c’erano e ci sono: qual’è il grande impedimento? Troviamo solo solerti cittadini bravi a fare statue a Padre Pio, con relativi fiori. Una pedalata in bici è cosa rara, una passeggiata fino al porto impossibile.
Siamo un paese di terziario dove, quasi come corpo estraneo, esiste uno dei più grandi complessi manifatturieri della Regione. Intorno a questa fabbrica di calzature non è nato nient’altro, nessun piccolo artigiano che si è evoluto in piccolo industriale, nessun collegamento fra l’industria e altri operatori commerciali. Una cosa abbastanza strana: l’indotto non esiste. Appena quella fabbrica ha una crisi, anche una piccola febbre, è finita. E per assurdo, se questo succederà, passerà sopra l’indifferenza generale, scivolando sulle nostre teste, senza colpo ferire, senza interrogarci sul futuro. Insomma abbiamo un paese con più di duemila operai occupati nello stesso territorio e non c’è una classe industriale.
L’agricoltura come sistema organizzato non esiste, ed è il massimo per una comunità che è sopravvissuta per mille anni esclusivamente con i frutti della terra. Non c’è una sola cooperativa fra produttori, non c’è un impresa agricola di una certa rilevanza, né un’industria di trasformazione agro-alimentare e meno ancora una ricerca integrata fra produzione e un marchio riconoscibile.
Il turismo sconta errori e dimenticanze storiche che partono dal dopoguerra, momento di vera spartizione del territorio. Nessuna zona turistica-alberghiera, operazioni spot di dubbia bellezza, improvvisazione di operatori del settore abbandonati al loro destino e alle loro più inopportune fantasie. E’ tardi per rimediare? In attesa della risposta (leggi Piano Regolatore Generale) la cultura del turismo come diffusa forma di ricchezza non passa e gli investimenti privati seppur minimi (tipo Bed &breakfest) tardano a venire.
Benché Tricase sia riconosciuta come un’importante centro commerciale, si fa a fatica a riconoscere una vera classe imprenditoriale, l’associazionismo di categoria inteso come promozione e sviluppo del territorio e come occasione di nuove intraprese. Ognuno è chiuso nel suo particulare ed è difficile fare qualcosa insieme piuttosto che contro qualcuno.
I giovani hanno pochi luoghi a disposizione per fare sport, musica e altro. Palazzetti dello sport incompleti da anni, campi sportivi semiabbandonati, una piscina privata e nessuna piazza per stare tranquilli senza auto e moto. Anche la squadra di calcio, un tempo sentimento di tutti, è ormai da anni patrimonio di pochi o dell’uomo solo al comando. I giovani sono i figli di questo tempo televisivo, tutti più belli, ben vestiti e nella media poco informati di cosa succede nel mondo, poco impegnati nel sociale. Con le famiglie malate di familismo, di facile conformismo e spesso vittime e carnefici delle manie dei figli (tornare tardi la notte, dormire fino al pomeriggio, lavorare mai, protezione massima su tutto e per tutto, unico obiettivo è prendere qualche punto in più a scuola, come soddisfazione massima nei confronti di parenti, amici e della vita in generale). E se qualcuno o qualche associazione è impegnata nel sociale o nel volontariato si fa notare poco, lo fa in punta di piedi perché è erroneamente convinta che non si debba fare politica, dimenticando che polis è la nostra stessa vita.
Dalla fotografia emerge qualcosa di poco rassicurante: la difficoltà di un’intera popolazione nell’avere un’idea portante, un qualcosa che accomuna. Una foto non è analisi sociologica e nemmeno un programma elettorale che deve piacere ad un sacco di gente. La foto è mettersi in un angolo e creare un’inquadratura, fare clic in quel preciso istante che forse sarà diverso da quello successivo. Da questa istantanea esce un paese da ricostruire, perché la foto, per quanto sfocata, sembra proprio brutta.
Nuove Opinioni - Settembre 2002
Alfredo De Giuseppe