2002-11 "E se ti fanno santo?" - Nuove Opinioni
Caro don Tonino,
ci siamo conosciuti per colpa della scrittura. Mi fermasti per parlarmi di un pezzo che avevo scritto sul “muretto del pianto” e poi confessasti (tu a me) che ti piaceva scrivere e che ti sarebbe piaciuto mettere ordine fra i tuoi appunti. Ci vedevamo al centro, io giovane commerciante di un negozio di dischi, fermo sulla porta d'ingresso a parlare di calcio musica e politica e tu a correre con quella scassata cinquecento bianca a portare da mangiare a qualche vecchio o a parlare con qualche ammalato. Ci siamo scontrati alcu¬ne volte sulla visione di Tricase: se ero un po' troppo pesante mi bacchettavi e io ti invitavo invece ad essere più coerente, a gridare contro questo cristia¬nesimo da ipocriti. E quando parlavamo di guerra eravamo quasi d'accordo: fare la guerra, preventiva o giusta che sia, è una pura follia.
Poi, a causa di un cognato che non ha voluto ascoltare consigli ed è dive¬nuto prete, venivo di tanto in tanto a Molfetta, dove lui studiava e tu facevi finta di fare il vescovo. Ed è lì, in quei brevi incontri al vescovado che ho visto quanto stavi crescendo, quanto cercavi di essere risoluto nell’affermare le tue idee. Quando entravamo da quel bel portone trovavamo gente di tutti i tipi che ti aspettavano, tu parlavi e loro volevano posti di lavoro, soldi per parti¬re, un pasto per quel giorno. E’ lì che ho capito che ti eri liberato dalle anti¬che paure da "uomo di curia ", dove la distanza dai tuoi vecchi posti ti aveva generato una forza nuova, non appagata dall’essere salito di grado. Quella era la forza trascinante del primo cristianesimo, quello della ribellione ai potenti e ai demagoghi e quello del pacifismo vero, non basato sulla real¬politk del momento. Mi raccontavi aneddoti di come si sentissero spiazzate alcune autorità ecclesiastiche, di come ti divertivi e soffrivi di questo. Durante la tua malattia ci sentimmo al telefono con la solita promessa che ci saremmo rivisti a chiacchierare del muretto di Tricase Porto e se quello era un posto da assolvere o con¬dannare.
Da quando sei morto non ho partecipato a convegni, riunioni, comitati per statue e nient'altro che ti riguar¬dasse. Tu avresti voluto meno di queste rievocazioni e che qualcuno dei tuoi amici di Molfetta o di Tricase o di Sarajevo continuasse a battersi per qualcosa di epico, per parlare chiaro anche contro e non sempre per ingraziarsi la benevolenza di tutti. Oggi probabilmente saresti in mezzo ai no-global e avresti portato con te anche le casalinghe e gli inse¬gnanti di Tricase (Il “popolo di Tricase”).
A furia di festeggiarti però, ti faranno santo, e la cosa ti piacerà per un po’ (ognuno gioca un po’ col proprio ego) ma poi sarai costretto a rimetterti il tuo grembiule e lavorare dav¬vero in mezzo a noi.
A meno che non diventi pure tu uno di quei santi che fa miracoli a richiesta o a pagamento e allora non c’è bisogno neanche di lavorare.
Un saluto affettuoso
Nuove Opinioni – 8 Novembre 2002
Alfredo De Giuseppe