2005-02 "Una strada a Cosimino" - Il Volantino
Quando ci apprestavamo a riaprire, nel giugno 2004, il supermercato ex-Gum, volevamo dare una sede alternativa a quella di Via Moro, dove avevamo l’altro esercizio commerciale. Andai più volte all’Ufficio dei Vigili Urbani e chiesi insistentemente come si chiamasse la strada che collegava via Moro a Via Pertini. Guardammo la toponomastica di Tricase e non trovammo alcun riferimento. Mi dispiacque perché dovetti dare alla sede il nome di via Pertini, che è l’ingresso meno importante dell’intera struttura. Me ne lamentai un po’ ma avevo altro a cui pensare: del resto a Tokio le strade non hanno nome.
Sono stato ben felice oggi, otto gennaio 2005, nel vedere due operai che montavano su quel tratto di strada delle nuove indicazioni (coperte da un cellophane nero): ho chiesto e con sorpresa mi hanno detto che domani ci sarà l’inaugurazione della nuova strada intitolata a Cosimo De Benedetto. Sono rientrato a casa ed ho tirato fuori dei faldoni di cose di venti anni fa: mi divertiva parlare, attaccare e scherzare su Cosimino. Ed oggi gli debbo riconoscere delle cose. Faceva parte di quella DC non ideologizzata, quella piccola al servizio delle piccole cose, piccole raccomandazioni, cortesie, della gestione senza pensare al futuro lontano della vita pubblica e agli sviluppi più logici da dare alla nostra terra. Ma questo non era un difetto di Cosimino, ma un problema di rapporti potere-popolo che si era venuto a sviluppare al Sud negli anni del dopoguerra. Era un sistema dal quale il politico non riusciva ad uscire da solo, tant’è vero che non ci riuscì nessuno, neanche gente preparata e di altra estrazione sociale, come Codacci Pisanelli. Negli anni ’70 noi giovani studenti attaccavamo quei politici: ricordo ancora le violente discussioni con lui e con il preside Licchetta (poi entrambi divennero Presidenti della Provincia). Avevamo la sensazione che non facessero tutti gli sforzi necessari per affrancare questo popolo dalla sudditanza, dall’ignoranza e dall’endemico vittimismo. E allora i dibattiti erano improntati sui massimi sistemi, sulla necessità di un radicale cambiamento. Lui abbozzava e, almeno con noi giovani (o forse è solo un ricordo personale) non si arrabbiava mai e forse comprendeva le vere ragioni di quelle discussioni. Poi magari, anche dopo mesi, ti incontrava e ti sfotteva su un avvenimento che gli dava ragione.
Però con tutto quello che è seguito alla sua morte, debbo riconoscere che quei politici avevano due doti eccezionali rispetto a quelli attuali: non cercavano l’immagine ma la sostanza e non barattavano tutto, ma proprio tutto, col denaro. Cosimino, come molti democristiani del suo tempo e della sua formazione, credeva davvero ad una soluzione moderata che teneva conto della povertà di partenza delle nostre genti, della impossibilità di risolvere il tutto con esperienze ideologiche tipo il comunismo o il fascismo. E aveva ben chiaro che dare spazio all’una o all’altra parte avrebbe fatto precipitare il Sud, ancora una volta, verso la povertà vera. Ed in questo senso avevano uno scopo anche le pensioni d’invalidità o il posto statale: creavano per la prima volta un senso di riconoscibilità della possibile umanità del potere. Lo Stato poteva essere finalmente accettato e vissuto come partner della nostra vita e non come nemico. Cosimino ci diceva questo con il suo risolvere i problemi di tutti i giorni: con questo spirito divenne un politico importante per tutto il Capo di Leuca (la sua morte del 9 gennaio di vent’anni fa segna anche l’inizio di quelle brutture politiche e tangentizie che poi abbiamo vissuto fino a tangentopoli in un senso, e negli ultimi dieci anni in un altro ancora più spaventevole).
Questo breve ripensamento dovevo al politico Cosimino De Benedetto e ad altri come lui che in quel tempo consideravamo poco congeniali alla soluzione dei problemi del Sud.
Sul piano affettivo invece nulla mai era cambiato da quando, ragazzino, andavo insieme a mio padre nelle sezioni della DC, o quando faceva il presidente dell’U.S. Tricase e mi considerava una specie di Causio, o quando a scuola ridevamo durante le ore di Educazione Fisica.
Ora che finalmente gli hanno dato un nome a questo tratto di strada, lui sarebbe felice di stare fra Moro e Pertini. E avrò modo di vederlo ogni giorno.
Il Volantino – Febbraio 2005
Alfredo De Giuseppe