2005-03 "Un deserto" - 39° Parallelo

Le recenti vicende giudiziarie di Don Cesare Lodeserto, direttore del centro di accoglienza “Regina Pacis” di San Foca, ci mettono nelle condizioni di fare alcune riflessioni. Per la verità c’è da riflettere anche o soprattutto sulle immediate parole di solidarietà espresse dai vari Buttiglione, Mantovano, Poli Bortone e D’Alema. La presa di posizione unanime e contemporanea dei politici di destra e di sinistra denota il vero atteggiamento storico e mediatico che noi abbiamo oggi verso l’immigrazione. Al di là infatti del giudizio specifico sulla storia di don Cesare, dei suoi metodi educativi, sui suoi risvolti economici e sull’idea di lager del centro, è la cultura che ci è stata trasmessa in questi ultimi anni a dover essere analizzata.

Penso da un po’ di tempo (penso a televisione spenta e con grande sforzo speculativo, spulciando e collegando notizie e statistiche) che la chiusura italiana verso il resto del mondo esemplificata dalla Lega Nord, sia alla base di tutta una serie di processi regressivi, fra i quali l’economia. Infatti non ci può essere crescita in questo particolare momento storico senza capire gli altri popoli, senza studiare cosa succede davvero nel mondo globalizzato dell’economia. Se noi italiani, quando negli anni ottanta abbiamo sentito di  avere la pancia piena, avessimo cominciato a studiare e ad aprirci al mondo, a scambiare informazioni e imprese con tutti, oggi forse saremmo un paese diverso, più proiettato al futuro, con qualche azienda significativa a livello europeo e qualche filo di speranza sulla nostra economia. Abbiamo invece iniziato a sentirci i più belli e più intelligenti, avevamo Armani e Valentino, il campionato di calcio più bello del mondo, la Tv più divertente e la cucina migliore, guai a chi ci toccava il giocattolo: nessuno deve disturbarci, nessuno deve mettere a rischio questa vita così perfetta. Da questo atteggiamento sono nati tanti problemi: chiusi in noi stessi non abbiamo letto un solo libro finlandese e intanto la Nokia diventava l’azienda di telefonini più importante del mondo, non abbiamo guardato al piacere di vivere degli spagnoli e intanto ci hanno invaso con i loro prodotti agricoli, più curati, più evoluti (hanno inventato la vendita industriale di nespole e fichi d’india quando noi li abbiamo distrutti perché considerati i frutti della nostra antica povertà). E’ mancato un politico che in modo drammatico dicesse agli italiani: signori, noi abbiamo vissuto secoli di povertà, la storia recente conta poco in confronto ai millenni di difficoltà, antropologicamente dobbiamo essere pronti ad assorbire i poveri del mondo, perché l’uomo negli ultimi tre milioni di anni è sempre migrato dove c’era più cibo. Invece abbiamo avuto mezze tacche che hanno preso i voti cavalcando i sentimenti più biechi della nostra specie, perché è facile avere il consenso apparendo in tv il giorno dopo un omicidio commesso da un albanese e gridando che devono tornare a casa loro. Dovevamo essere pronti a quello che era prevedibile doveva succedere ed invece ci facciamo assalire come i barbari fecero con i Limes e noi siamo dentro quel fortino di frontiera sperando di mantenere inalterato il nostro standard di vita, i nostri giochi a quiz e le nostre pensioni. Una società più aperta avrebbe significato più turismo, più commerci e più libertà: hanno giocato con le paure ancestrali dei poveri cristi ed hanno vinto, è bastato tenere tutti sotto chiave e farli divertire un po’ con qualche raffaellacarrà sempre aggiornata e ben truccata. Ragionare per preconcetti e luoghi comuni ci ha dato sicurezze effimere: gli albanesi tutti ladri, gli africani puzzano, i cinesi non li capiamo, gli arabi sono musulmani e quindi kamikaze, gli americani sono alti, ricchi e belli. Rimanere arroccati nel nostro fortino, resistere ai cambiamenti significa piano piano diventare più poveri: l’invasione, che comunque ci sarà, sarà ostile. Oltre al discorso di tipo umanitario, ce n’è uno di tipo pratico: questa cultura non produce ricchezza, ma reciproche scorrettezze.

Avrei voluto vivere in una società più aperta dove il passaporto, invenzione degli ultimi secoli, contasse poco, dove potersi interscambiare culture, conoscenze e traffici, al fine di accrescere il livello di vita di tutti e non di contribuire all’arricchimento di pochi (base per evitare le guerre di religione).

Il don Cesare Lodesrto è figlio di questa situazione: ecco perché a lui sembrano strane quelle accuse di vessazione e peculato, ecco perché i politici sono insorti contro la magistratura, che a volte pretenderebbe ci fosse pure un po’ di giustizia umanitaria. Lui in definitiva è il portabandiera dei nostri valori e della Chiesa d’Occidente, lui è al seguito dei conquistadores spagnoli che uccidevano i nativi sud americani perché non erano battezzati, lui va alle crociate per convertire gli infedeli, lui protegge le nostre famiglie dalle invasioni barbariche. Lui dirige con severa grettezza una mezza prigione chiamata “Centro d’Accoglienza”, voluta dalla Politica.  

39° Parallelo - Marzo 2005

Alfredo De Giuseppe

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