2006-06 "Un pomeriggio per la vittoria" - Il Gallo
Mi sono preso un pomeriggio per dedicarlo alla vittoria, alla sua ubriacatura, alla sua ridondante spontaneità, all’inverosimile incantesimo disinteressato. Alle tre del pomeriggio di lunedì dodici giugno nessuno osava dire un numero, una percentuale; pochi sembravano ostentare sicurezza. Non si può perdere un pomeriggio come questo a Tricase. Paese compassato, dove l’applauso è una chimera per quegli artisti che si avventurano in una festa patronale, dove spesso si partecipa come davanti alla Tv. Non è un posto fatto di eccessi, per niente e per nessuno: anche al calcio eravamo famosi negli anni sessanta e settanta per la compostezza (poi un po’ rimaneggiata con l’avvento delle copie degli Ultras), insomma una razza di freddi indoeuropei scontrosi, trapiantati per caso nella provincia delle pizziche, dei deliri, dei suoni magici e del sole fra la terra dei due mari. Non era invece il caso di mollare qualche impegno e osservare, godere e infine partecipare della festa spontanea e finalmente liberatoria? Si, era il caso, un po’ per la sua unicità, un po’ per quell’aria da strapaese che fa sempre bene e che forse si sarebbe persa nelle occasioni ufficiali e negli spazi istituzionali. Sono venuto a vedere e di nascosto a cantare, direbbe Paolo Conte.
Mezz’ora dopo le quindici, qualcuno nei pressi del Comune, in quell’improvvisata sede del comitato Coppola, già ci si dava la mano, ma qualcuno rifiutava, per scaramanzia o perché nella sezione di Caprarica le cose non stavano andando così bene. Alle quindici e qurantacinque bastava spostarsi nella sede dei DS e il computer già dava delle percentuali incoraggianti, potenza dei vecchi militanti che attraverso i telefonini aggiornano ogni dieci minuti direttamente il segretario che a sua volta detta con finto distacco i numeri al giovane colto e preparato al computer. Alle sedici le percentuali già non si muovono più, siamo a circa il cinquantasei contro il quarantaquattro, tutti si chiedono se non sia il caso di ufficializzare al sindaco la sua riconferma. Appena cento passi e si ritorna in Via san Demetrio, dove Antonio è festeggiato già da una decina di persone. Lui è di fronte al suo comitato, affianco al bar Martinucci, risponde a una telefonata ogni venti secondi. Le auto devono rallentare, qualcuno prova a gridare che è fatta, ma manca l’ufficialità che qualcuno nel suo intimo ha deciso la debba dare solo lui. E invece sono già tutti convinti: bisogna solo trovare il modo di liberare la gioia. Antonio Coppola alle ore sedici e trenta è sospinto verso la piazzetta Codacci Pisanelli, appena sotto le scale d’ingresso del Municipio della Città di Tricase. Lì, finalmente, viene preso in braccio e fatto volare, non ci sono ancora telecamere, né giornalisti se si esclude Antonio Ciardo che a malapena in queste settimane ha celato la sua appartenenza, che vorrebbe prendere il Sindaco sulle spalle e invece tenta di fare una foto digitale, non avendo però ancora capito come si usa. I più freddi rimangono sulla porta del comitato con le mani in tasca, ma il loro sorriso è cosa insolita nel panorama delle facce da “sotto l’orologio”. Alle sedici e quarantacinque, Antonio, quasi lievitando (non dimenticate che il giorno dopo si festeggia S.Antonio), va verso Piazza Pisanelli, dove c’è ancora il palco della campagna elettorale. La festa si svolge in tanti posti diversi eppure tutti lì, in pochi metri, eppure profondamente diversi in ogni loro angolo: per un tricasino dire “sotto l’orologio” è profondamente diverso che dire Piazza Pisanelli, benché siano praticamente sulla stessa strada: ma questo è il bello di appartenere a Tricase.
Quando si va verso Piazza Pisanelli, il traffico è completamente bloccato, i clacson suonano e per pochi minuti chi sta chiuso in auto non sente di avere fretta, i vigili con la massima celerità mettono le transenne e chiudono l’accesso alla piazza, mentre Antonio ha già dato centinaia di baci e poi sorride sempre, anche se il suo sguardo tradisce una qualche stanchezza. Ma poi la supera se arriva Fernando Dell’Abate con il suo fuoristrada e quasi corre ad abbracciare il suo avversario delle primarie: è il momento di festeggiare, non c’è pensiero negativo, non c’è spazio per chi ha perso. E poi alla spicciolata arrivano tutti, i nuovi consiglieri e i supporters più variegati: i seggi sono ormai abbandonati ai presidenti, nessuno vuole più saperne di calcoli e schede. Sono arrivati Pasquale Santoro, serafico come non mai, Alessandro Distante, l’avvocato difensore del centrosinistra e tanti candidati non eletti, anche Pino Greco, ma anche operai dell’Adelchi e ragazzini incuriositi.
Infine Antonio sale sul palco, stappa una bottiglia di spumante, innaffia la prima fila, non ci sono microfoni o musica e si grida a squarciagola solo per dirsi “ci rivedremo per festeggiare”. Sono le diciassette, il vincitore, il predestinato, scende precipitosamente e abbraccia ancora i nuovi arrivati, i tanti che ormai riempiono la piazza. Dopo pochi minuti è risospinto sul palco e stavolta ci salgono proprio tutti: il più felice appare Francesco Accogli perché il suo DS non ha mai avuto dubbi e tentennamenti ma anche gli uomini della Margherita, da Colazzo al giovane assessore Musio, sono tutti lì a gridare e ridere. C’è anche Antonio Attrotto, il palco traballa ma regge ancora, salgono anche le donne, con in testa Pina De Iaco, mentre Caterina Scarascia si defila in pantofole dietro la statua del vecchio giurista. Carmine Zocco è un po’ invecchiato ma felice, Roki Sperti appare meno democristiano, l’arch. Fernando Zocco si stringe al Sindaco, Mario Musio è di nuovo vincitore dopo anni di incomprensioni, la festa non riconosce sconfitti, è un momento di grande euforia dove è necessario abbassare la guardia, farsi trovare con il cuore aperto e finalmente gioiosi. Poi forse cominceranno gli interessi di bottega, le piccole faide e le incomprensioni. Ma questo è il momento della vittoria per la vittoria, della reale scarica adrenalinica. La festa ufficiale sarà un’altra cosa. Ci sarà tempo per fare la giunta, per tentare di risolvere i problemi di Tricase e del Basso Salento, perché questa a ben vedere è una terra unica, bellissima, irriducibile. C’è da lavorare ancora sulla sua tipicità, avere il coraggio di vivere in questo globo senza perdere quelle piccole particolarità, senza affossare nella mediocrità. Antonio festeggia, noi con lui, per il bene che vogliamo a questa crosta pietrosa immersa in due mari antichi.
Sono appena passate le diciassette e trenta, comincia a piovigginare su questo giugno meteopatico. Sono venuto a vedere e di nascosto a danzare…
Il Gallo, 12 giugno 2006
Alfredo De Giuseppe