2010-10 "Uccio Aloisi, il re della pizzica" - Il Gallo

Conobbi Uccio Aloisi a Tricase, al tempo dell’Associazione “Petra Viva”. Erano gli anni fra il 1993 e il 94, serate invernali, poche persone, un bicchiere di vino e tamburello. Stava per scoppiare il tempo della nuova pizzica e noi tentavamo di capirla, perché l’avevamo abbandonata, perché il mondo contadino era finito senza rendercene conto (del resto non avevamo lottato perché finisse? Con tutte le sue ingiustizie e miserie?). Ce lo presentò Giovanni Pellegrino, da Zollino, omonimo del senatore, amico del gruppo che resistette al tempo della televisione e cioè “i tre Ucci”. Nelle piccole stanze dell’associazione nata per difendere i muretti a secco, intonò uno stornello e subito ci innamorammo. Non c’era niente in lui che non fosse autentico, lo sentivi nelle sua voce, ti emozionava ad ogni ritornello. Non era ancora famoso, non era ancora iniziata l’epopea della notte della taranta, non c’era nessuna Woodstock del Salento, non c’era l’idea di incidere dischi, non c’era ancora l’ipotesi che il tutto diventasse una moda (ma non volevamo che il Salento stesse sulle labbra degli italiani, non volevamo che le nostre tradizioni fossero esaltate?). Venne di sera e parlammo di tutto, della sua infanzia, della ricerca di sterco, di lui che raccoglie l’uva con l’Ape Piaggio, che lavora tutti i giorni i campi, che ha vissuto da escluso i decenni dello sviluppo industriale, che ama sua moglie. Ci colpì quella confessione sulla moglie, quel darle un’importanza straordinaria rispetto alla sua serenità, alla sua possibilità di esprimersi liberamente. Era anche un modo per dirci quanto fosse disincantato verso la sua stessa comunità che un po’ lo sbeffeggiava, un po’ lo considerava già negli anni ’70 un arnese del passato. Non aveva molta fiducia nei complessi rapporti sociali, ma anelava più di ogni altra cosa l’amicizia e l’amore per la famiglia. Giovanni Pellegrino, suo mentore nei momenti bui, ricorda come fosse stato completamente snobbato fino ai primi anni ’90 da quella classe intellettuale che maneggiava la pizzica come elemento elitario e storico. La grande dimensione di Ucciu Aloisi, forse anche per la sua forte e prepotente personalità scenica, si è rivelata fondamentale nel risorgimento della canzone popolare salentina. Quando saliva lui sul palco si notava la differenza sostanziale fra l’originale e le copie, fra il ritmo dell’anima e quello degli strumenti.

Cantò ancora e ancora ci emozionammo, forse ci sarebbe venuta la pelle d’oca anche se avesse cantato il blues o il jazz, in ogni caso ci fece intuire la bellezza del canto primordiale. L’ho rivisto altre volte, e sempre ero “quiddru de la petra viva”, e cercavo di capire se la notorietà l’avesse cambiato, ma oggettivamente non poteva cambiarlo. Era rimasto sempre il solito burbero contadino, convinto come molti contadini dell’immutabilità delle cose, mentre intorno tutto cambia. L’ho rivisto l’ultima volta a Tutino, prima di un concerto. Abbiamo mangiato a casa del professore Luigi una splendida peperonata, e lui disse che non poteva bere perché i dottori e sua moglie lo controllavano. Intorno a noi c’era un certo numero di persone, si lasciò andare e cominciò a mandare qualcuno affanculo, e assaggiò il vino: “stasira face friddu, ci vole u mieru e lu tammurrieddrhu”.

La cosa che divertiva di più era quel suo appropriarsi del palco, specie nelle serate della Notte della Taranta, lontano dalle logiche di una regia televisiva che nulla concede all’improvvisazione. Uccio Aloisi cominciava a cantare, vedeva la folla entusiasmarsi e non capiva perché dovesse scendere, perché dovesse mollare il microfono a ciò che lui considerava non autentico, a quella categoria indistinta che l’aveva tenuto nascosto per tanti anni. - Adesso ci sono e non me ne vado più, nel pieno consenso del pubblico, nel furore della rivincita dei perdenti-. Negli ultimi anni veniva regolarmente pagato per le sue serate, ma il meglio lo concedeva quando era in compagnia di amici, magari “al pozzo” di Sternatia, il locale simbolo di questi anni di pizzicati. Giovanni Pellegrino, che mi onoro di avere fra i miei amici, mi dice: “senza Uccio Aloisi non sarebbe stato possibile creare l’attuale fenomeno della pizzica. Foggia, la Basilicata e altre realtà hanno il ballo popolare e il tamburello, ma non hanno avuto la fortuna di avere un Ucciu che incarnasse con il suo stesso fisico la forza di una liberazione, che diventasse riconoscibile al mondo cantando il suo spirito anarchico”.

Giovedì 21 ottobre, a 82 anni, Ucciu Aloisi ci ha lasciati. Per essere un semplice contadino è morto da re.

Il Gallo - Ottobre 2010

Alfredo De Giuseppe

 

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