2011-04 "Italiani razzisti, e non lo sappiamo" - 39° Parallelo
E’ dura da accettare, ma siamo un popolo di razzisti. Ricordo benissimo quando da ragazzo ascoltavo che una delle virtù italiche era l’assenza del morbo razzista. Erano razzisti gli americani che tenevano i negri fuori da ogni posto di comando, erano razzisti i tedeschi e gli svizzeri che vietavano agli italiani e ai turchi l’ingresso in alcuni locali di lusso. Erano razzisti gli altri mentre noi,ancora al limite dei lussi occidentali, ci consideravamo invece ospitali, buoni con gli stranieri e gentili con i deboli. Nella realtà eravamo solo bisognosi, e la storia pare non ci abbia insegnato nulla. Le immagini che in queste settimane stiamo offrendo al mondo dal molo di Lampedusa sono uno scempio di ogni concetto di progresso e di dignità umana, specie se provengono da una nazione che si considera una potenza economica. Ragazzi lasciati al freddo della notte senza alcuna assistenza, gente trattata come merce da smistare, polizia ed esercito in gran quantità, controlli e un reato di clandestinità creato dal nulla dal nostro governo del fare. Però siamo il popolo della facile autoassoluzione: basta una confessione, un nuovo vento politico e una benedizione ecclesiastica e tutto viene cancellato. Siamo specialisti in autoassoluzioni collettive. Quando eravamo tutti fascisti, imprigionammo migliaia di ebrei che furono mandati a morire nei campi di concentramento, con una legge cui nessuno osò opporsi. Quando invadevamo la Libia e l’Etiopia facevamo cose orribili, come reprimere le rivolte uccidendo intere comunità di civili, o ricorrendo a campi di concentramento che in breve diventavano volutamente di sterminio per le condizioni igienico-sanitarie. Il generale Graziani su ordine di Mussolini usò contro tribù di pastori e nomadi un micidiale gas tossico. Nel 1937 per rappresaglia contro alcuni attentatori (da noi sarebbero stati definiti eroi della resistenza) fu ordinato lo sterminio di tutti i monaci e diaconi presenti al monastero di Debre Libanos: circa 1.500 persone, comprese molte suore e ragazzi, morirono in un solo giorno. Graziani per questi atti fu premiato e nominato Viceré d’Etiopia. Per almeno dieci anni siamo stati fra i più convinti amici di Hitler, che pubblicamente diceva di aver imparato molto da Mussolini. A scuola ci hanno insegnato che i cattivi erano solo i nazisti, nessuno ci ha mai aiutato a capire le nostre nefandezze, a ragionare su noi stessi. In effetti, finita la seconda guerra mondiale, ha fatto comodo a tutti, Chiesa, Alleati e trasformisti vari, mettere un velo pietoso su quello che eravamo stati, quindi ripulirsi l’onore e la faccia. Del resto il nostro razzismo è stato sempre mascherato: gli Abissini cantavano con noi Faccetta Nera e quindi erano più contenti di noi. I primi tunisini e marocchini che arrivarono in Italia, agli inizi degli anni ’70, divennero per tutti vu’ cumpra’. Adesso ci nascondiamo dietro la comunità europea e tutti quelli che non ci piacciono li chiamiamo extracomunitari, senza nome, nazione e altro. Forse in questi ultimi decenni, i cinepanettoni, i programmi televisivi con ricchi premi, gente elegante e ragazzi impomatati, qualche vittoria sportiva e due tre firme dell’alta moda, ci hanno convinto di essere superiori a tutti gli altri, di essere un popolo che non ha bisogno di nessuno.
L’avventura del duo Berlusconi-Bossi ha poi fatto il resto.
L’attuale crisi economica, che sarà pure mondiale, ma da noi assume toni tragicomici davanti alla perdita di ogni senso del ridicolo e della dignità, è dovuta in parte a questa chiusura verso gli altri popoli. Se negli anni scorsi avessimo perso un po’ di tempo a capire la storia, gli usi e i costumi dei nuovi Stati, dei popoli confinanti e di quelli, come la Cina e l’India, destinati a diventare le prime potenze mondiali, forse oggi avremmo delle chance maggiori anche per i nostri figli. Se invece di sostenere le paure ancestrali del diverso, avessimo imparato ad accettare il cambiamento, la nostra posizione geografica avrebbe favorito scambi, commerci, idee e sicurezza. Invece noi ancora discutiamo se in Lombardia possono insegnare i pugliesi, se i cinesi sono tutti sporchi e i tunisini tutti spacciatori. Da quelle banchine del molo di Lampedusa mi è sembrato di cogliere un richiamo all’Italia: sei una nazione che è nata dal miscuglio millenario di genti di tutto il Mediterraneo, sei stata la culla delle arti e ora stai invecchiando male, rifacendoti continuamente il trucco esteriore, non vuoi cambiare, non vuoi accettare il nuovo, non sai capire il tempo che vivi: peggio per te, non sai che ti perdi.
L’altra ipotesi è antropologica: tutte le tribù difendono il loro territorio, tutte tentano di cacciare l’invasore, noi stiamo vivendo un tumulto generale della società mondiale al quale dobbiamo porre degli argini. Sarà vero, ma tutte le civiltà che si sono difese chiudendosi sono poi sparite, risucchiate dalle loro stesse paure, dalla loro inutile autarchia.
Ora la Repubblica Italiana e il suo governo, la Chiesa (che guarda caso è in silenzio), gli intellettuali di questo paese, le Università, i media e tutti i cittadini possono scegliere e hanno due sole scelte: una, analizzarsi a fondo come popolo e fare un po’ i conti veri con i nostri difetti, ripartire con umiltà da quelli e cominciare a immaginare il futuro; la seconda, lasciar fare ai ministri leghisti, diventare tutti berlusconizzati, chiuderci nelle nostre miserie, e affogare in una melma priva di ogni umanità.
39° Parallelo – 1 Aprile 2011
Alfredo De Giuseppe