2013-02 "Italia A -Italia B" - 39° Parallelo
Gli scandali bancari scoperti in questi ultimi mesi e in generale la logica del potere di questi anni, hanno rafforzato in me l’ipotesi di due Italie, ben divise, differenti e disomogenee. Non l’Italia del Nord e quella del Sud, non l’Italia dal sapore democristiano e quella dal cuore comunista, ma semplicemente l’Italia che lavora con la politica e quella che ne è fuori. Un’Italia A e un’Italia B.
Un numero imprecisato ma sicuramente molto nutrito di persone lavora in politica dal Trentino a Palermo, fino alla propaggine Salentina. C’è chi è entrato direttamente in politica per ragioni molto pragmatiche: ho un problema con la giustizia, mi posso difendere solo se vado in Parlamento; ho un problema con le banche che ritengono insufficienti le mie garanzie, posso migliorare il mio rating solo se vengo eletto almeno alla Regione; non posso fare la doppia attività perché mi è impedito, basta chiedere l’aspettativa, sarò pur eletto da qualche parte e il gioco diventa semplice e legale: mantengo tutti i contatti e il potere del mio posto pubblico e intanto faccio il professionista; faccio il militare e non c’è modo di avvicinarmi alla mia terra d’origine, tenterò di entrare nell’ultimo dei consigli comunali e divento il più furbo di tutti, con tre colpi in uno: rientro a casa, permessi per fare il consigliere e se mi va bene vengo pure pagato, assessore o presidente di un qualcosa, purché sia.
E fin qui siamo al pragmatismo misto a furbizia, ma c’è dell’altro. Fino a qualche anno il mafioso chiedeva al politico alcuni favori, a volte li otteneva, quando superava l’indecenza si sentiva dire qualche no. Quindi di tanto in tanto qualcuno moriva, veniva gambizzato o almeno minacciato. Adesso il capo bastone ha capito cosa fare: se non è ancora incappato nelle maglie della giustizia entra direttamente in politica altrimenti basta metterci il cugino/figlioccio/amico e può continuare a fare tutti gli affari del mondo senza dover ricorrere a quella bruta consuetudine degli omicidi. Se poi qualcuno gli dice per un giro di starsene fuori, lui minaccia di dire tutto quello che sa e basta una breve conferenza stampa dove dice e non dice per garantirsi immunità e incarichi per altri vent’anni. Imprenditori malavitosi e criminali che fanno gli imprenditori, si può scegliere.
E qui siamo nella pura criminalità, ma c’è ancora tanto. C’è tanta gente, a destra e a sinistra, che ha capito da un po’ di anni come gira l’Italia e quindi si è ritagliato la sua nuova immagine: negli incontri pubblici e nelle interviste continua ad usare le stesse parole di sempre, ma le spoglia di ogni serio significato fattuale e quindi può fare il contrario di tutto, dalle tangenti alle cene sexy, fino alle grandi evasioni fiscali. Qui siamo alla bugia diventata sistema, ma c’è ancora dell’altro, purtroppo. C’è infatti un popolo, molto numeroso, di mezze cartucce, di omuncoli, di personaggi insignificanti, di ignoranti globali che vive sotto il tavolo della politica e che di quelle briciole, nel suo piccolo, riesce a farne ricchezza. Tante piccole briciole che diventano oro nelle bocche degli italiani che hanno capito da che parte stare, non ideologicamente parlando, semplicemente mantenendo la giusta vicinanza alla politica, qualunque essa sia, purché sia. Ed ecco in premio un bel lavoro per sé o i propri figli negli ospedali privati e pubblici, posti nelle municipalizzate, nelle Università e nelle caserme, prestiti dalle banche, favori per un mutuo, per una rata, per un telefonino, per una ricarica telefonica. Tutti questi giocano, vivono nell’Italia A, seppure a diversi livelli.
E poi c’è l’altra Italia, adesso forse minoritaria, chissà. Un’Italia di piccoli e medi imprenditori lontani dalla politica, vessati dallo Stato in tutti i suoi gangli, di ragazzi che vanno all’estero pur di non vendersi al primo politico populista, di onesti insegnanti che vorrebbero fare solo il loro lavoro, di pensionati che hanno avuto l’unica colpa di aver lavorato onestamente (un artigiano dopo 40 anni va in pensione con circa 450 euro al mese). C’è ancora, ha resistito nonostante tutto, un popolo che non vorrebbe fare la guerra, ma entrare in Europa, migliorare le cose normali, aprire il cuore al più banale buon senso sociale. Un’Italia che è stanca, abbattuta, frustrata nei suoi desideri di bellezza, giustizia e piacevolezza del vivere.
Adesso quest’Italia non minaccia più rivoluzioni, neanche astensioni o lunghi cortei intrisi di rabbia, non minaccia neanche di votare in massa Grillo o chi per lui, di fuggire ai Caraibi con gli ultimi spiccioli, o di legarsi mani e piedi alle cancellate delle Prefetture.
Non minacciamo più niente. Siamo qui per fare un semplice ma corposo annuncio: anche noi siamo pronti alla resa, anche noi vogliamo entrare in Italia A, ci siamo arrivati, non possiamo starne fuori.
(Però riflettete un attimo: quando anche tutti noi saremo in A, quando saremo o in Parlamento o sotto il tavolo di un qualsiasi politico, chi lavorerà per sostenerci tutti quanti?).
39° Parallelo - Febbraio 2013
Alfredo De Giuseppe