2013-06 "Povera quercia, poveri noi" - Il Volantino
Nella sequela di scempi che sta colpendo la nostra cittadina non poteva mancare il monumento più importante, l’attrazione naturalistica per antonomasia della nostra terra, la Quercia Vallonea. Mi sono imposto ogni qual volta osservo un degrado, un obbrobrio, un monumento alla bruttezza di non andare a cercare colpe e responsabilità, ma di continuare per iscritto la mia semplice osservazione. E lanciarla nello spazio, nel nulla della nostra perdizione. Perché questo è un paese, l’Italia come Tricase, dove è facilissimo scaricare le colpe su altri: forse l’ha autorizzato il Comune, no la Provincia, ma c’è di mezzo l’Ente Parco, no forse il proprietario, ma forse la Forestale, la Polizia Provinciale, i Vigili oppure il NOE, oppure semplicemente tutti noi messi assieme.
Nel tardo pomeriggio di lunedì 11 giugno, una delle prime giornate di sole di questa variegata primavera, sono andato a vedere la Quercia di Tricase, che cosa le stessero ancora facendo. Ho visto un’orrenda ringhiera, luccicante di ferro satinato, con un’inguardabile rete metallica conficcata dentro il muretto a secco che la divide dalla strada. Evidente l’intento di proteggere il simbolo vivente di Tricase da vandalismi o altro, ma che sistema è? E se per proteggere le sequoie millenarie della California o i monumentali cactus messicani avessero pensato una orribile recinzione come questa, che cosa avrebbe detto la stampa mondiale? E se un qualsiasi monumento italiano fosse recintato con la rete metallica, in quale lager penseremmo di vivere? Come si fa a pensare una cosa così brutta per proteggere una vita così bella?
Mi sono fermato a riflettere sulla follia umana, forse sulla mia, pensavo che ci faccio qui mentre l’economia crolla, la politica si sfalda e il cellulare squilla la sua frenesia. Poi è arrivata una coppia di turisti, quelli con la roulotte che girano in questa stagione: la mappa in mano, la guida che indica la quercia, il cappello alla sahariana, pantaloncini corti e sandali con le calze bianche…sempre loro. Hanno preso la macchina fotografica e con rammarico hanno constatato che era impossibile fare una bella foto. Hanno guardato i lavori in corso per la caduta della pajara che insiste sullo stesso terreno della quercia, mi hanno visto assorto e mi hanno chiesto che cosa fosse successo. Allora io, preso dal solito campanilismo, o forse da una volgare senso di vergogna, ho detto che quella era una recinzione di cantiere, per la sua sicurezza. Mi hanno creduto e sono andati via, tanto una foto in meno per loro non è niente…
Con l’avvicinarsi del tramonto non si fermava più nessuno, il traffico era diventato molto rado, il mio quarto d’ora d’aria stava per scadere, dovevo cercare di capire meglio.
La quercia ha sentito la mia presenza, l’ultima brezza del giorno e la prima della notte hanno scosso le sue lunghe propaggini, il tronco ha avuto un momento di confusione, come uno stiracchiarsi prima del sonno, mi ha guardato con la sufficienza che viene dall’esperienza e ha lanciato il suo anatema:
“Sono arrivata qui dall’antica Grecia che non c’era ancora nessun paese, sono cresciuta in fretta con le mie sole forze, non ho mai preteso cure che non fossero vento, pioggia e sole, le mie chiome hanno protetto fino a cento cavalieri che andavano per imbarcarsi o a far la guerra, con le mie ghiande si sono colorate le pelli più rare, poi infine, pochi decenni fa è arrivato l’uomo evoluto. Quest’ultimo uomo ha iniziato ad asfaltare la strada sotto le mie radici, poi ha costruito dall’altro lato una nuova strada e mi ha stretta fra due muretti, quando piove un po’ di più l’acqua ristagna e sono in pericolo di crollo. Ad un certo punto hanno messo dei lampioni a soli fini propagandistici ma che di notte mi danno proprio fastidio, vorrei dormire di nuovo al buio, se possibile… e adesso quest’ultimo baluardo della civiltà, una recinzione che tocca i miei rami, che non mi fa vedere oltre, che mi ingabbia ancora di più. Oggi sono proprio incazzata e tu non mi guardare come un imbecille, perché sto pensando seriamente di mandarvi affanculo”.
Il Volantino - 14 Giugno 2013
Alfredo De Giuseppe