2017-06-03 "Ayse Karacagil non combatte più" - FB
Questa bella ragazza curda si chiama Ayse Karacagil. È morta qualche giorno fa alle porte di Raqqa, a fianco delle truppe curde-siriane che tentano di conquistare l’ultima città siriana ancora nelle mani dell’Isis. Una bella ragazza, che aveva scelto le montagne per combattere affianco di altre donne, libere, laiche, resistenti fino alla morte. Tutto era cominciato a Istanbul nella primavera del 2013, quando i giovani schierati a difesa del verde pubblico di Gezi Park non avevano vinto, ma quanto meno avevano costretto il presidente Erdogan a tirare giù la maschera del padre islamista moderato della nazione per rivelarne per la prima volta il vero volto. Quello del potere assoluto, indisponibile al dialogo, sordo alle istanze di una società secolarizzata e democratica che si credeva protesa verso l'Europa.
Gli scarponi dei militari mandati da Erdogan a piazza Taksim avevano calpestato tende e striscioni, la protesta messa a tacere con la forza. Otto i manifestanti rimasti uccisi, tantissimi i feriti. La maggior parte degli arrestati processata e condannata a scontare pene di poco superiori ai due anni per "danneggiamento della pubblica proprietà", "oltraggio a moschea", "interruzione di servizio pubblico". Ayse, invece, era stata travolta da un'accusa ben più grave: militanza in organizzazione terroristica. Ovvero i separatisti del Pkk, il Partito Curdo dei Lavoratori. Tra le prove depositate contro di lei, non un cappuccio ma una "sciarpa rossa, simbolo del socialismo". Con Ayse in cella, era stata sua madre a protestare: quella sciarpa dimostrava solo che tutto si reggeva su un castello accusatorio montato su prove fabbricate a tavolino. Fra una sentenza e l’altra riuscì a fuggire, perché in primo grado era già stata condannata a ben 100 anni di galera. Lei raggiunse le sue compagne sulle montagne seguendo percorsi che in carcere le avevano indicato alcuni detenuti. Dalla latitanza aveva scritto una lettera per far sapere di essersi unita alla battaglia per Kobane e da quel momento divenne un simbolo per chi crede nella libertà del popolo curdo, delle donne musulmane, e di tutta l’aera medio-orientale in mano a dittatori di vario livello (coperti da paesi occidentali). Il fumettista Zerocalcare ne fa un’eroina del suo fumetto con il soprannome di “Cappuccio rosso”. Lei invece continuava semplicemente ad imbracciare il fucile, per disperdere quella ciurma fanatica il cui riferimento è il Nuovo Califfato.
Ayse, una vera eroina, non di plastica e neanche da copertina, semplicemente la donna che vuole riscattare la libertà di tutti noi. Il tuo bel volto sorridente, con il tuo cappello rosso e le guance paffutelle non va dimenticato. Peccato che le televisioni di tutto il mondo non abbiano trovato un minuto per te. Scriverò per te.
FB - 03 Giugno 2017
Alfredo De Giuseppe