2019-05-19 "Una decina di volte" - FB
Ho giocato oltre 400 partite di calcio, quasi tutte su campi in terra battuta, dall’Interregionale fino alla Terza Categoria, dai 16 fino ai 36 anni. Il 90% delle partite le ho giocate con infortuni più o meno mascherati. Una lesione al muscolo femorale destro, rimediata a 19 anni, mai completamente rimarginata, poi diventata un callo che ancora oggi mi fa male all’arrivo di ogni nuova stagione. Una microfrattura al mignolo del piede sinistro che mi dava un dolore costante ad ogni corsetta, poi a catena, e di continuo, i due polpacci, che non si bilanciavano mai, così come l’adduttore destro e sinistro. Pubalgia, violente distorsioni della caviglia, infiammazione dei tendini rotulei delle ginocchia. Problemi che iniziavano alla seconda giornata di preparazione estiva e terminavano alla fine di ogni campionato. Terapie infrasettimanali per potermi permettere qualche minuto in campo, infiltrazione di intrugli magici direttamente sul muscolo malato, laser terapie, recuperi senza allenamenti, massaggi rilassanti e tante pasticche di anti infiammatori. Un inferno settimanale, durato vent’anni, senza lamentarmi quasi mai, per il semplice motivo che amavo disperatamente quella sfera di cuoio, che volevo mandare con precisione sempre dove desideravo. Bestemmiavo solo quando ero costretto a lasciare il campo durante la partita, un gesto che metteva a nudo tutta la mia fragilità, la mia inefficacia, nella palpabile delusione di tifosi e compagni.
Delle restanti partite, in quel misero 10% in cui sembravo guarito, ne ho giocate quasi la metà temendo di infortunarmi, per l’altra metà senza fiato perché non riuscivo ad allenarmi con continuità. Le pochissime partite che rimangono da questo computo, le ho vinte tutte, spesso inventando gol, assist, recuperi e geometrie. In quelle partite avrei vinto contro chiunque, forse anche contro calciatori di altre categorie.
Però, mi sembra ancora assurdo che, girando per il Salento, molta gente abbia un grande ricordo di me come calciatore per quelle pochissime volte che ho davvero giocato al meglio. Forse non più di dieci, vere, intense, bellissime partite. Ora che quella palla non m’interessa più, che peso trenta chili in più, che quasi non guardo sport in tv, a volte mi sorprendo a sognare quelle partite, un tunnel e il lancio di 40 metri, un dribbling giocando sul destro-sinistro, un tiro di collo pieno, una veronica in mezzo al campo per liberarsi di tre uomini in sol colpo. Anch’io ho voluto tenere dentro di me, in un limbo fra sogno e realtà, quella decina di partite in cui dimostravo a me stesso che sarei potuto essere quello che in realtà non potevo più essere.
Foto del 1974, 1986, 1993
Facebook – 19 giugno 2019
Alfredo De Giuseppe