2019-12 "Berlusconizzati senza prescrizione", 39° Parallelo

Il 12 novembre 2019, Silvio Berlusconi, ancora una volta, non ha parlato di fronte ad un magistrato. Si è avvalso della facoltà di non rispondere pur essendo stato chiamato come testimone dai difensori del suo sodale Marcello Dell’Utri. Per anni al timone di Publitalia, la società dedita alla raccolta pubblicitaria del gruppo (sostanzialmente la cassaforte), il buon Marcello è stato l’ideatore di Forza Italia, il partito di famiglia. Ora la magistratura vuole fare chiarezza su un paio di cosette: se Dell’Utri è stato condannato per reati connessi all’associazione mafiosa, è possibile, come rivelato da alcuni pentiti, che la nascita del partito di Berlusconi e la sua ascesa sia stata agevolata da una serie di azione criminose messe in atto insieme a potenti cosche siciliane? E una volta ottenuta la vittoria elettorale, è possibile che il governo Berlusconi abbia tentato di agevolare in qualche modo la mafia e i suoi boss in carcere?

Non sono domande risibili. In un Paese serio si sarebbe preteso da un ex Premier di sapere la verità o che almeno rispondesse alle domande. Qui invece la notizia è rimbalzata per poche ore sui Tg on-line. In serata la metà dell’informazione in mano a Mediaset non ha dato la notizia, l’altra parte in mano al centro destra ha sopito la notizia, il pezzetto di sinistra ha riportato la notizia ma ha evitato qualsiasi commento. Come al solito, come fa ormai da decenni. Eppure nel 1993, in concomitanza con l’ideazione segreta di Forza Italia, ci furono attentati che demolirono monumenti e uccisero persone innocenti e un altro, ipotizzato allo Stadio Olimpico di Roma, non si trasformò in una strage terribile per un cattivo funzionamento del telecomando.

Questo è il Paese in cui le stragi di Stato sono rimaste sostanzialmente senza una verità definitiva. Alcune hanno condizionato e cambiato il corso della storia. Altre hanno rafforzato solo ipotesi golpiste e comunque hanno narrato dell’impossibilità italiana di diventare una democrazia compiuta. La vicenda umana e politica dell’ex Cavaliere Silvio Berlusconi non è un pettegolezzo e non rappresenta una sfida partitica ma è la chiave di lettura della storia italiana degli ultimi 30 anni.

Già prima del suo ingresso in politica, brigava in continuazione con i politici della Prima Repubblica: le licenze edilizie nella Milano degli anni ’70 erano sempre al limite del lobbismo più spinto; entrò nella Loggia P2 di Gelli per garantirsi i favori istituzionali; il PSI di Craxi gli permise di trasmettere in diretta sul territorio nazionale; la legge del Repubblicano Mammì fu cucita a sua misura; comprò il Giornale di Montanelli e poi attraverso una serie di corruttele, anche di giudici, la Mondadori. Ogni volta che gli è stato chiesto da dove provenissero i fondi, circa 300 milioni di Euro attuali, con i quali ha fondato le sue Holding ha preferito non rispondere. L’unica cosa certa è che il padre era responsabile di una piccola banca, la Rasini, la quale, oltre che essere al Nord lo sportello di fiducia di Totò Riina e Bernardo Provenzano, entrò in rapporti d'affari con una banca delle Bahamas, la Cisalpina Overseas, nel cui consiglio d'amministrazione figuravano Roberto Calvi, Licio Gelli, Michele Sindona e il vescovo Paul Marcinkus.

Nel 1994 si buttò in politica con la chiara e sfrontata missione di salvare tutto il suo gruppo di società, indebitato con il sistema bancario oltre ogni limite, e che stava per finire sotto la lente di Mani Pulite. E da allora una sequela di leggi ad personam per garantirsi impunità, svicolare processi, sistemare definitivamente le proprie aziende. Un uomo, un imprenditore anomalo, pronto a tutto pur di rimanere a galla, pur di conquistare il potere. Disponibile ad allearsi con la destra più retriva e con i bifolchi (come lui li definì) della Lega di Bossi, disposto a dire ogni giorno una montagna di bugie con la convinzione di poterle rivedere il giorno dopo. Con l’aiuto di un seguito sempre più ampio di televisioni, giornalisti, grandi malfattori e poveri ignari. E con il Sud che lo premiava come il nuovo liberatore.

Ancora oggi, a 83 anni, è lì, nel bel mezzo del panorama politico. Costretto, oggi come allora, a contare qualcosa nelle beghe partitiche per rimanere a galla con tutto il suo portentoso patrimonio, ancora in bilico, ancora sospeso fra il salotto buono della finanza e il mistero mafioso.

Avvalendosi della sua facoltà di non rispondere, ancora una volta a noi italiani imperfetti non ci è consentito di aprire un vero squarcio sulla nostra storia recente, di capire meglio chi siamo, da chi siamo stati governati, rappresentati nel mondo. Quando nel 1994 l’Italia uscì dalla Tangentopoli della prima Repubblica si sperava che potesse finalmente entrare a far parte delle socialdemocrazie europee e invece scelse il partito di Berlusconi, unito a quello di Bossi e Fini.

Nasceva la seconda Repubblica, quella del berlusconismo di fatto e dell’anti berlusconismo di maniera, l’Italia si condannò ad un’eterna inconsistenza, ad una berlusconizzazione di massa. Noi condannati, i nostri figli senza futuro, la politica in fondo al ridicolo, Silvio salvo per prescrizione.

 

39°Parallelo, Dicembre 2019

Alfredo De Giuseppe

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