2021-12 "PORCINARA o LEUCOTEA, il Salento che ci manca", 39° Parallelo

  

 

Novembre è un mese infido, la mattina scende la nebbia, le piogge si fanno intense e costanti, le tempeste di scirocco sono frequenti, qualche giorno riceve già il freddo maestrale, eppure Leuca non perde nulla della sua lucentezza. Anzi, la diminuzione del traffico automobilistico, l’assenza di rumori di tipo antropico, la rendono ancora più bella, più luminosa, come direbbe la traduzione dell’aggettivo greco Leukòs, lucente, abbagliante. Oppure l’attuale Leuca prende il nome dalla dea Leucotea letteralmente "Dea bianca", da intendersi forse come "'La dea che scorre sulla schiuma del mare", di cui casualmente ho letto di un ringraziamento in una grotta di Leuca. In una mattina autunnale ho deciso dunque di esplorare la Grotta Porcinara, a pochi passi da Punta Ristola, lo scoglio estremo del tacco d’Italia. Il termine grotta in effetti poco si addice a questa cavità, poiché risulta scavata a mano dall’uomo, mentre la vicina Grotta del Diavolo, quella delle Tre Porte e le altre che guardano verso ovest sono tutte naturali, erose dal mare e dai venti.

La Porcinara (che qualcuno chiama più gentilmente Portinaria) prende il nome probabilmente verso la fine del 1600, quando veniva usata come ricovero di maiali, con grande sorpresa di Luigi Tasselli, il Padre Cappuccino di Casarano che per primo, nell’era moderna, la scoprì e la studiò. Da allora numerosi sono stati gli studiosi che hanno tentato di carpire i suoi segreti, inclusi gli immancabili Arditi e De Giorgi, verso la fine del 1800.

Lo scoglio finale di Leuca, con la piccola insenatura della Porcinara, ben si prestava fin dalle epoche più remote ad essere il primo approdo per chi venisse da terre lontane. E così dovette essere anche per il re Idomeneo che qui arrivò dopo la guerra di Troia e potrebbe aver trovato quest’anfratto già scavato, già usato da uomini preistorici come luogo sacro e di ringraziamento.

Certamente la frequentavano i Messapi, gli abitanti del luogo ben prima dell’arrivo dei Greci, i quali infatti non riuscirono facilmente ad insediarsi e continuarono la loro navigazione verso il golfo di Taranto, dove gli insediamenti messapici erano meno presenti e meno guerrieri.

Sulle pareti della grotta sono ancora conservate iscrizioni di carattere votivo incise dai naviganti che superavano il promontorio di punta Meliso e vedevano finalmente un altro orizzonte, magari dopo essere scampati ad una tempesta o ad un naufragio. Già il Tasselli nella sua Antichità di Leuca del 1693 scrive: “lontano da Leuca un miglio vi è la Grotta Portinara (hoggi detta da’ Paesani Porcinara) in dentro la quale vi sono molti epitaffi intagliati con lettere greche e messapiche”. Le iscrizioni sono ormai corrose dal tempo e dalle intemperie. Una di queste è stata ricostruita dagli archeologi e dice: “Iovi Optimo Maximo Vatio Lucius Valeri us Sabinuis votum solvit cun pleromate” (A Giove ottimo e Massimo Lucio Valerio Sabino fa voto con tutto l’equipaggio della nave”).

Quindi primo approdo, primo ringraziamento nel tempio arcaico, segnalato forse da monoliti giganti (ne è rimasto uno riverso verso il mare), dove i Messapi lasciavano i primi segni di un loro sconosciuto alfabeto e tanti pezzi di ceramica e di lavorazioni tufacee. La Porcinara di Leuca, ben prima di quanto finora immaginato, è stata crocevia di popoli provenienti da ogni dove, smistamento di uomini che tentarono di esplorare l’entroterra e di altri che proseguirono verso altri lidi. Ma le  tracce circostanti e le deduzioni logiche legate agli studi effettuati nel tempo portano fino all’Uomo di Neanderthal, il nostro primo, sicuro antenato.

Nel 1975 archeologi delle Università di Lecce, Pisa e Lovanio (Belgio) hanno effettuato degli scavi rinvenendo notevoli reperti; tra questi la eschara, l’altare dove si scarificavano le vittime, e la scala sacra, di accesso al sito. Il rinvenimento dell’eschàra, è di notevole importanza, e al suo interno gli archeologi hanno messo in luce resti combusti di ossa di capre e di pecore, testimonianza dello svolgimento di particolari culti religiosi presso quello che possiamo definire il santuario di Punta Ristola. Lungo le pareti interne della grotta, si notano, ad altezza uomo, molti buchi che sicuramente ospitavano sostegni per immagini. Fin qui le notizie storico-archeologiche rintracciabili sulle pubblicazioni della Pro-Loco di Leuca, specialmente quelle a firma di Antonio Romano e Vito Cassiano.

Poi inizia la storia moderna, la situazione attuale e qui comincia la parte più noiosamente uggiosa della vicenda. La grotta ha due grandi bocche d’entrata ed è costituita da tre ambienti contigui e intercomunicanti di diverse dimensioni. Uno di questi ambienti, quello a est, è in realtà diventato la cantina di una casa, una volgare dépendance con tanto di pavimento in cemento, di un edificio privato. Questa casa, costruita letteralmente sopra la grotta, ha avuto anche la possibilità all’esterno di creare un enorme muro divisorio in tufi. A suo tempo è bastato dichiarare che il terreno fosse di proprietà per poter avere la disponibilità anche del sottosuolo, che all’epoca era già scoperto e ben visibile, per niente sepolto dalle intemperie dei secoli. Una facoltosa famiglia del Basso Salento, costruì alla fine degli anni sessanta (concessione del Comune del marzo 1967) una casa su quel costone magnifico, ad appena 30 metri dal mare, sopra l’approdo di naviganti e uomini infinitamente più coraggiosi di ricchi borghesi in pantofole. La sostanza è che la grotta Porcinara è amputata, come se un terzo del Colosseo fosse destinato a Bed&Breakfest.

Ma la piccola speculazione privata non è sufficiente a capire quanto siano deprezzati i nostri monumenti, quelli che forse ci identificano meglio nel nostro intimo, addirittura nella sedimentazione del nostro DNA, pieno di misteri, poesia e civiltà, tutte da raccontare e divulgare. Per capire quanto sia lontana la nostra sensibilità da questi luoghi basta passarci accanto: una scala in legno, costruita qualche anno fa per non intaccare l’arcaica scalinata incisa nella viva roccia, è distrutta e abbandonata, sbarrata da una di quelle orribili transenne in ferro. La cavità, così testardamente scavata da uomini senza mezzi meccanici, è occlusa da una banale e arrugginita cancellata in ferro chiusa con un catenaccio rivestito da un tubo di gomma blu. È protetta da eventuali vandali, avendo però già compiuto i più grandi atti di vandalismo pubblico che si potessero immaginare. Inoltre un inappropriato muro divisorio in tufo diventa visivamente il segno della brutalità degli ultimi cinquant’anni, quelli in cui è mancato qualsiasi rispetto per la storia e l’ambiente.

Il Salento che non c’è, che non si conosce e non si apprezza, che sa solo essere volgarmente prono al dio degli spritz e degli ombrelloni. La grotta Porcinara, che forse sarebbe utile chiamarla di INO LEUCOTEA, sarebbe un luogo magico, sarebbe un luogo da condurci le scuole della provincia, sarebbe l’atto stampato della nostra anagrafe storica, polverizzata poi in quella genìa otrantina che qualcuno (vedi Alberto Signore) definisce speciale, unica, bellissima. Non è una grotta scavata dalle onde, ma una caverna ricavata dagli uomini in cerca di risposte, di capire il senso della vita, inclusi il viaggio, il mare, la conoscenza.   

39° parallelo – dicembre 2021

Alfredo De Giuseppe

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