2022-02 "La Provincia, sabotata e braccata" - 39° Parallelo

  

Se c’è una cosa che ripetiamo in continuazione è il nome della nostra Provincia. Sui documenti, spesso tra parentesi con le sole iniziali, nelle conversazioni, nelle dispute più o meno sportive e financo in quelle musicali. La PROVINCIA identifica il nostro essere cittadini di una certa terra, di un certo luogo evocativo. Se dico sono nato in provincia di Viterbo, identifico un territorio ex pontificio, terra dei Papi, quartieri medievali, la Maremma e la Tuscia, il tutto molto diverso da Roma e dal più generico Lazio. Allo stesso modo, se dico provincia di Lecce, identifico con precisione il Salento, i due mari, la sua flora, la sua luce, la sua preistoria (e forse anche la sua gente, la sua cultura d’accoglienza antropologica e purtroppo non più umanitaria).

Una riforma istituzionale, sulla spinta di un crescente e confuso populismo, ha di fatto reso la Provincia un Ente quasi superfluo, aumentando disgraziatamente le competenze delle Regioni e dei Comuni più grandi. Si voleva risparmiare e semplificare e  invece si è finito per creare il solito pasticcio all’italiana. La riforma Delrio del 2013, in parte rivista nel 2014, che era intrisa di norme transitorie, fu bocciata nel famoso referendum istituzionale del 2016 che vide anche la fine del Renzismo. Da allora una rincorsa a trovare soluzioni a quelle norme transitorie, su come dividere competenze e funzioni, come organizzare le città metropolitane, fino ad arrivare ad una proposta di legge nel 2019 di un’Area Vasta da effettuarsi non più con l’abolizione ma con l’accorpamento delle province con almeno 2.500 chilometri quadrati e 350mila abitanti.

In molti casi le scelte operate nella prima legge di attuazione sono state modificate a distanza di pochi mesi. Ne sono esempi Molise e Veneto, che nella prima attuazione hanno adottato un approccio conservativo, per poi riaccentrare sulla regione con leggi successive. Mentre la Puglia ha seguito il percorso opposto, centralizzando in prima attuazione, per poi decentralizzare con una legge del 2016. Le Regioni, così come dimostrato dalla recente crisi pandemica, sono il vero stallo istituzionale italiano: da un lato stanno creando venti Italie diverse, dall’altro creano Presidenti/Governatori supervip e infine sono l’inutile filtro tra Ministeri italiani e Uffici Europei. Le Regioni hanno amplificato il debito pubblico, hanno creato una nuova famelica casta e hanno infine destrutturato l’unicità organizzativa dello Stato centrale. Quindi erano le Regioni, casomai, a dover essere riformulate e non certo le Province. Ma questo lo ripeto solo quale promemoria del buon senso non certamente per ergermi a costituzionalista (compito che lascio volentieri ai giganti della politica odierna).

In ogni caso le elezioni dei consiglieri provinciali son diventate di secondo livello, cioè la selezione dei candidati avviene tra i consiglieri comunali dei vari Comuni di ogni singola Provincia e quindi poi votati dagli stessi. Senza che i cittadini ne sappiano nulla, se non a cose fatte e ad elezioni terminate. Non c’è discussione nei partiti e movimenti, non ci sono vere espressioni pubbliche di auto-candidature, ma un sistema ben collaudato di nomine studiate a tavolino per accontentare un po’ tutti. Così è successo nelle ultime elezioni che si sono tenute a Palazzo Celestini lunedì 24 gennaio e che hanno visto in Provincia di Lecce le liste di centrosinistra prevalere per 11 eletti contro  4 del centrodestra.

Ma a questo punto la domanda sorge spontanea: se la Provincia è ormai un Ente in agonia, perché c’è stata una corsa all’ultimo voto, perché tanti uomini politici di prima grandezza (?) si sono spesi per aiutare questo o quello? Perché è così importante esserci anche se per gli eletti c’è solo un rimborso spese, niente stipendi e vitalizi? Le risposte sarebbero molteplici e ad essere buoni potremmo aggiungere che la Provincia gestisce tutte le scuole superiori e le strade intercomunali e quindi dispensare questo o quel piccolo servizio (aggiustare una strada o sistemare la finestra di una scuola) può generare consenso da giocarsi in varie sedi. E fin qui ci può stare: non c’è evidentemente nessun disegno, nessuna visione strategica ma almeno non si fanno grossi danni. Si possono creare solo grandi e piccole clientele, come sempre. Ma questo assunto è ancora tutto da dimostrare, perché forse esserci significa avere le mani in pasta su progetti, lavori, appalti e consulenze.

Nel campo del centrosinistra, che pure ha vinto, ci sono da fare delle brevi considerazioni: su 11 eletti  ben 7 sono nella lista Insieme per il Salento che rappresentano l’ala centrista (definita ormai “civica”) di Alessandro Delli Noci, Sebastiano Leo e Dario Stefano in evidente contrapposizione con Salento Bene Comune 2050 che rappresentava i partiti storici come PD e LeU. In un certo senso una piccola sconfitta per Ippazio Antonio Morciano, ingegnere, attuale segretario provinciale del PD, già sindaco di Tiggiano, ora consigliere comunale e protettore dinamico del giovane sindaco Giacomo Cazzato. Morciano ha preso meno voti della scorsa legislatura e, a questo punto, vede messa in discussione la sua leadership provinciale. Del resto l’altro eletto del Sud Salento Francesco Volpe, vice sindaco di Morciano di Leuca, rappresentante di LeU- Articolo 1 – di Ernesto Abaterusso, non propriamente uno vicino al segretario Ippazio. Annotiamo inoltre due brevi considerazioni che la dicono lunga sulla qualità di queste supposte elezioni democratiche: l’unica donna eletta è risultata Paola Povero, consigliere comunale di Lecce, mentre Pippi Mellone, sindaco di Nardò, è riuscito a far eleggere Gabriele Mangione nel centrosinistra ed Ettore Tollemeto nella minoranza. Un buon viatico per la lotta che ci sarà ad ottobre tra lo stesso Mellone e Minerva, attuale Presidente della Provincia, nonché sindaco di Gallipoli.

Per noi, disattenti cittadini sulle quotidiane lotte di potere, cosa significa tutto questo? Stiamo vivendo la solita politica verticistica, in cui l’elettore è chiamato (eventualmente) solo a consolidare ciò che è stato abbondantemente deciso altrove e soprattutto stiamo svilendo ancora di più quell’Ente storico, che è la Provincia, dove si potrebbe davvero programmare la viabilità del futuro, la difesa dell’ambiente, un piano strategico delle coste e delle infrastrutture turistiche. Tutte cose demandate a soggetti lontani, ad eletti avulsi dal territorio, a funzionari dediti alla sola perpetuazione della burocrazia. Povera Provincia, mi verrebbe da dire, se non significasse anche Poveri Noi.

39° Parallelo, febbraio 2022

Alfredo De Giuseppe

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