2023-09-01 Trattasi di una vecchia Lambretta
Mio figlio, uno dei miei figli, è laureato in ingegneria meccanica col massimo dei voti al Politecnico di Torino. Non mi ha mai chiesto un euro, ha ricevuto borse di studio, la residenza universitaria, e ha fatto fotocopie e stage per pagarsi gli studi in ogni suo aspetto. Ha trovato subito lavoro e vive al Nord ormai da qualche anno (e nonostante tutto a me dispiace). Vive di uno stipendio, come tanti, non adeguato rispetto alle sue possibilità, alla sua intelligenza e alle sue competenze, specialmente se rapportato a funzionari pubblici di vario livello (che poi fanno anche i progetti nel privato). Risparmia qualcosa per tentare di formare una famiglia, o almeno una vita dignitosa, fatta da sé, senza raccomandazioni e senza padrini politici. Viene in ferie al Sud una o due volte l’anno. Reciprocamente ci abbracciamo, è una gioia e basta. Niente lacrime, niente chiacchiere e nessuna rivendicazione verso il mondo.
Mio figlio, uno dei tanti giovani per bene che vivono questo Paese disgraziato, è diventato ingegnere meccanico perché ha un’immensa passione per la meccanica e la matematica fin dall’infanzia, non certo per i soldi o per la gloria. Quando aveva 16 anni intravide in una cantina una vecchia Lambretta cc 150 Innocenti del 1962. Era in condizioni pessime, forse esisteva solo il telaio, un motore malandato e qualche altro pezzo. Era la Lambretta del nonno che lui non aveva mai conosciuto, morto a soli 35 anni insieme alla moglie, in un terribile incidente stradale. Lui, mio figlio, con dedizione e passione, ha iniziato un lungo percorso di ricostruzione del mezzo a due ruote, andando a trovare pezzi mancanti e lavorando sulla carrozzeria e infine sistemando documenti e formalità varie (dove l’Italia è fiscalissima). Era venuto fuori un piccolo gioiello.
Quest’anno, ad agosto, appena rientrato dal Nord, ha tirato fuori la sua amata Lambretta, ha fatto un giro ed è rientrato a casa. Ha aperto il garage nel sotterraneo del condominio e ha parcheggiato. Dopo circa un’ora la sua Lambretta non c’era più, qualcuno si era intrufolato nel garage e l’aveva rubata. Per lui, per tutti noi un colpo al cuore, una vigliaccata inutile.
Lui, mio figlio, ha fatto le cose che poteva e doveva. Dopo l’immediata denuncia ai Carabinieri, ha cercato di interessare i Vigili Urbani per vedere se ci fosse qualche immagine dalle telecamere posizionate dal Comune per frenare gli atti di vandalismo. Risposta: aspettiamo lunedì che rientra l’incaricato che può vedere le immagini. Quando, con calma, sono state visionate c’’è stata una sola risposta: non abbiamo notato niente. Le varie telecamere private erano disattivate o non disponibili alla registrazione. Poi infine un vicino di casa, contattato dai Carabinieri, consegna le immagini dalle quali si intuisce la dinamica e l’autore del furto. Il classico drogatello che ha fatto una ruberia d’impulso per recuperare tre dosi, ben noto alle forze dell’ordine, abitante di una delle tante zone degradate e abbandonate, anche urbanisticamente, dei nostri Sud. L’immagine delle telecamere non è nitida, non c’è stampato il nome e il cognome, non si può procedere, nel frattempo è trascorsa una settimana. L’uomo riconosciuto non ha ricevuto neanche una domanda, per non incorrere in gravi violazioni della privacy, probabilmente ha rivenduto il mezzo nel giro delle prime 48 ore. La Lambretta è persa definitivamente mentre i documenti e la targa ricompaiono su un marciapiede di Brindisi, nella zona del porto. Dopo 12 giorni d’inferno, mio figlio riparte in anticipo per il Nord. Ci abbracciamo in silenzio, io gioco a fare l’ottimista come sempre. E vabbè, la vita va avanti.
Tutti hanno fatto il loro dovere, nessuno è imputabile, neanche il ladro a cui è bastato un cappellino per diventare un fantasma. Mio figlio, però, non è andato nelle zone malfamate a chiedere la Lambretta del nonno e neanche a promettere denaro all’intermediario di turno: non è nella sua indole, non riteneva coerente avere a che fare con chi l’aveva sopraffatto nei sentimenti e nelle passioni più intime. Ha visto, sapeva già, come funzionano le cose, non c’è nessuno che ti difenda, non può importare a nessuno di una vecchia Lambretta rimessa a nuovo nell’arco di dieci anni, lo Stato è assente dove serve, nelle parti degradate di ogni città. Le forze dell’ordine sono troppo impegnate, ci sono migliaia di scartoffie da compilare ogni giorno, il cittadino esiste solo di fronte a fatti eclatanti, eccitanti, di quelli che riempiono le pagine dei giornali almeno per due giorni.
A mio figlio dico di continuare ad essere quello che è, a conservare sempre il senso del giusto, l’abitudine del rispetto per tutti e per l’ambiente, a lottare se necessario anche per gli altri, ad avere e pretendere i soldi necessari per vivere bene, niente di più. Dico di continuare a divertirsi nel creare e riparare, a inventare soluzioni, a trovare nel lavoro la giusta dimensione. Le cose materiali vanno e vengono, hanno un valore limitato nel tempo. La sua Lambretta invece non sparirà mai, sarà un ricordo indelebile, sarà un paradigma della sofferenza e della gioia, rimarrà per sempre stampata nella sua mente. Di questo si nutre l’uomo, di cose belle, fatte per sé e per gli altri, in momenti di vera generosità, di amore per tutto ciò che ci circonda, inclusi arte, cultura e ingegno. Il resto lo lascerei agli ingordi e ai fanatici di ogni grado, lo abbondonerei volentieri a chi ha tanto denaro e non sa vivere oppure a chi non ne ha ed ha scelto la ruberia come unica soluzione.
C’è un sapore dolceamaro, lo so, ma avere a fianco uno come te è il massimo che possa capitare ad ogni umano di questo secolo.
FB - 1 settembre 2023
Alfredo De Giuseppe