2024-05-07 " 'Santa Cesarea: Splendore e Disperazione' … inebriandosi di quelle sulfuree e tenere carezze." - S.d.M.
Mi risulta difficile, ancora adesso dopo averlo visto, pronunciare il termine “disperazione”, pregno di suggestioni semantiche esiziali, mortuarie direi, e prive della malinconia che chiunque abbia frequentato la terra di Side-Cisaria ha potuto respirare inebriandosi di quelle sulfuree e tenere carezze. Con o senza un amore, è triste Cisaria. Di una tristezza triviale e folle: la trivialità tragicomica dei “politici-amministratori”, la raffinata follia dei film e dei racconti in-sensati e geniali, delle rassegne letterarie, delle architetture liberty, dei casinò. Oscena, da un lato, sconcia, perfino. Elegante e delicata, dall’altro. Terra del mito e dell’oblio, la mia Side-Cisaria. Un tuffo al cuore il “rosso melograno” dei suoi orizzonti infiniti. Mare e melograno. Come thàlassa - mare e sida (o sita) - melograno. Sida come Side, la fanciulla del mito pagano suicidatasi sulla tomba della madre per sfuggire alle brame incestuose del padre. Dalle gocce del suo sangue accolto dalla terra, nacque il melograno. Da Side all’omologo mito cristiano di Cisaria, il passo è breve. Cisaria invocò e ottenne la morte per sé (“Aprite munte, ‘gnuttite Cisaria) e la dannazione eterna per l’indegno genitore (“e li stivali de sirma cu diventane de ‘nzurfu e pice”) che, colpito da un fulmine, precipitò nelle acque, poi divenute, a contatto con il suo corpo diabolico, fetide e sulfuree. Ma forse lo erano già a causa dei corpi putrefatti dei Giganti Leuterni massacrati da Eracle.
Lo splendore porta sempre con sé il suo contrario: l’opacità. Mentre la disperazione s’accompagnata alla speranza e al pudore. Non sono riuscito a vedere, dentro il filmato, né speranza, né pudore. Tanta opacità, invece, fuori da quel filmato, proiettato in una sala disseminata di storici comprimari di posizioni di potere sulle cose e sulle coscienze. Coscienze “educate” ai familismi amorali che sottomettono il civis relegandolo al ruolo di “idiotes” in mille e ancora mille atti e comportamenti sfrontati e “scontati”. Un civis diventato una “croce” su un simbolo all’interno di “pacchettini” del consenso blindati, oggetto di scambio lucroso nella borsa dei “valori”. Più numerosi, questi pacchettini, nella frazione maggiore che, ineluttabilmente, esprime il primo tra i cives, a sua volta sottomesso a chi i pacchettini li confeziona con perizia e accortezza degustandone la restituzione. Sempre così, prima e dopo il 1913, passando per l’epoca infausta delle Partecipazioni statali quando le “croci” si controllavano porta a porta con il metodo infallibile del calcolo combinatorio voto di lista-preferenza.
Una vicenda ossimorica e complessa, quella della mia Side-Cisaria. Ma non “la vicenda”, non certo la metafora di un sud a pezzi. Metafore e ossimori sono presenti ovunque si scavi in profondità per riesumare reliquie soffuse di dolorosa bellezza. Sono le reliquie di chi ha perso quasi tutto sul lato dell’etica e dell’“impegno”. Di chi nutriva di bellezza il suo impegno. Di chi, uomini di partito, insegnanti, genitori, “maestri”, non ha saputo trasmettere ai figli tale bellezza abbandonandoli alla “machine”, alla catena di montaggio di una vuota autoreferenzialità.
E poi poi…un po' di orgoglio, via…Da Malepasso alla Fraula, l’antropizzazione è rimasta più o meno quella di 5000 anni fa, l’epoca delle Grotte dei Cervi. Dall’altra parte della nostra Messapia, invece, le cose sono andate molto diversamente e una donna perspicace e coraggiosa che ne denunciò lo scempio ci ha rimesso la vita. Manca un porto. Se ne ha davvero bisogno con Castro e Otranto vicinissimi? Un tempo si parlava di area vasta, di sinergie, di Unione di comuni. La bellezza passa anche per lo sguardo “oltre e attraverso” nella specificità, nell’atopos. Il nostro atopos è proprio quello di imitare Abano Terme? Non bastano le ferite già inferte al territorio, in primo luogo alla falesia aggredita da tonnellate di cemento? Siamo un piccolo scrigno di bellezza che suscita lo stupore di chi viene da lontano con la promessa di ritornarci se la meraviglia non si trasforma in grigiore. Sta qui la grandezza. Nel rimanere quel che siamo: un luogo da favola, circondato da un entroterra da favola: Vaste e Muro messapici, Minervino e Giurdignano dei menhir e dei dolmen, Castro degli epici approdi. Bellezza e sinergia. Sinergia e sviluppo. L’ambizione campanilistica non ha mai dato buoni frutti. Quell’edificio terminato, abbandonato e devastato è una sorta di simulacro del controfattuale: facciamolo visitare come si visita un museo degli e(o)rrori per imparare dalla turpitudine il valore della bellezza. E poi poi…per finire davvero, c’è un film girato proprio qui che è oggetto di studio nelle università di mezzo mondo. Scriveva il suo autore:
“Bianca, immensa, la casa araba, un lato dirimpettaio l’insensato palazzo moresco Sticchi, la cupola dorata, dominante le terme di Santa Cesarea e la scogliera e il mare Ionio pavone d’infinite correnti fatate. Da quei balconi arcati, leggi nei giorni chiari Albania rosa. Senti ognora la vita scelta a forza. Tristo, tristo indovinello sbiadisce sul fondale a flutti neri dipinti ripetutamente in basso dell’azzurro infinito. Azzurro Africa. Sotto, immediato è il brontolio sulfureo-cassa a lutto tra le rocce ciclopiche, orrendo corpo che vi si dilacera”.
S.d.M.