038 - Il commercio che chiude e cambia - 2018-04-14
Qualche settimana fa Trony, la nota catena di elettronica ed elettrodomestici, ha chiuso i battenti di tutti i suoi negozi; Media World, un colosso nello stesso settore, ha annunciato numerose chiusure in Italia e all’estero; la più grande catena al mondo di giocattoli, la Toys R Us, ha chiuso oltre 800 negozi all’inizio del mese di marzo; grandi organizzazioni come la COOP, Auchan e Carrefour chiudono i bilanci in perdita, si autofinanziano solo con i soci consumatori o le Borse (finché il gioco regge). Questo in breve per quanto riguarda i giganti delle vendite al dettaglio, ma ci sono naturalmente anche i piccoli: la Confesercenti in una nota ufficiale ha stimato che negli ultimi 10 anni hanno chiuso in Italia circa 280.000 negozi, in tutti i settori, dall’alimentare all’abbigliamento. Ormai è un fatto evidente: in quasi tutte le città ci sono tantissimi saracinesche abbassate con il cartello affittasi, spesso ci sono dei tristi cartelli di commiato, tipo: “salutiamo tutti i nostri clienti, ma non ce la facciamo più, chiudiamo dopo 50 anni attività. Grazie comunque per la fiducia che avete riposto in noi”.
Quali le cause principali? Innanzitutto un’esasperazione dei costi, delle varie tassazioni e degli adempimenti necessari per avviare e mantenere una qualsiasi attività al dettaglio. Se non sei al centro di una delle tre o quattro città d’arte d’Italia, dove i prezzi di vendita sono raddoppiati rispetto ai listini normali, non è matematicamente possibile sostenerne il peso. Se vuoi vendere qualcosa devi abbassare il tuo margine, se abbassi il tuo guadagno non riesci a pagare i costi, se decidi di abbassare i costi fai quasi sempre delle scorrettezze con il personale dipendente e con il fisco, se ti indebiti per pagare i costi la banca ti dice che non si può fare, se la banca (o anche una Findomestic qualsiasi) segnala un problemino, sei marchiato a vita come un delinquente abituale e nessuno ti dà 1 euro bucato. Reggono ancora alcune attività di ristorazione, che hanno il margine di trasformazione più alto, ma soprattutto perché basate sul lavoro dei familiari, che si auto-schiavizzano per 12 o 15 ore al giorno. Oppure quelle attività al limite della legalità che trovano sofisticati sistemi di resistenza allo Stato e alle sue Regole. Insomma un inferno, (senza ferie e malattie pagate, neanche la 104 per i familiari) e dal quale uscire è quasi impossibile: il Purgatorio dei dettaglianti ancora non è stato inventato. Eppure non è stato sempre così: il mercante rinascimentale era un uomo libero, poteva comprare e vendere, viaggiare e scoprire, diffondere cultura e conoscenze. Ancora fino a pochi decenni fa chi intraprendeva un’attività poteva contare su un fisco leggero, una scarsa burocrazia generale e un mercato protetto da Piani del Commercio abbastanza restrittivi. In un paese come Tricase negli anni settanta c’erano sei o sette fra bar e ristoranti, oggi ce ne sono circa cento (97 per la precisione ad aprile ‘18) e questo da un lato fa capire quanto sia cresciuto il comparto commerciale (sempre a Tricase ci sono in totale 400 attività al dettaglio, con circa 1.500 addetti) dall’altro preoccupa il trend negativo (anche quello percepito) che produrrà, come una spirale senza fine, nuova disoccupazione e nuova povertà.
In tutto questo schema si è inserito negli ultimi anni il web, le vendite on-line, la macro-dimensione di aziende tipo Amazon, Zalando, Alibaba e vari che guarda caso, a loro volta, hanno trovato sistemi sovrannazionali di evasione, elusione, sinergie e finanziamenti che le hanno proiettate verso guadagni stratosferici. Ma hanno anche fatto emergere un dato incontrovertibile: il web necessita di una struttura, di una scrittura, di una grammatica che a noi poveri mortali nessuno ha insegnato nei modi e nei tempi giusti. È come imporre a Dante di scrivere la Divina Commedia senza sapere le lettere dell’alfabeto. Poveri commercianti, affaccendati in mille problemi quotidiani, non hanno fatto in tempo a studiare, informarsi, leggere le novità del tempo che scorreva sotto di loro. Però la base di partenza è stata davvero impari: da un lato un élite di persone che sapeva leggere e scrivere la nuova grammatica del web, che era al centro dei nuovi processi commerciali (liberi da vincoli e costi fissi) e dall’altra miliardi di persone che con un centesimo cadauno dovevano solo saper usare il telefonino per incrementare il conto corrente dei pochi. Chiuderanno molti negozi ancora, la vendita al dettaglio subirà grandi trasformazioni ancora, alcune al ribasso (qualità, prezzo, servizio, improvvisazione e illegalità) altre nel senso di una sempre maggiore globalizzazione: in ogni caso il nostro ideale di mercante è finito, sepolto sotto una coltre di delusione.
La mia colonna - il Volantino, 14 aprile 2018
Alfredo De Giuseppe