055 - Le oscure dinamiche delle case popolari - 2018-09-22
Ha fatto scalpore in questi ultimi giorni l’arresto prima a Lecce di 7 persone e poi a Roma di altre 6, oltre a decine di avvisi di garanzia, per l’irregolare assegnazione di case popolari. A Lecce sono coinvolti ex-assessori, funzionari, consiglieri comunali e vari. Pare che tutte queste persone brigassero in qualche modo affinché gli alloggi venissero attribuiti non in base a punteggi acquisisti ma secondo convenienza politica (scambio di voti) o per favorire semplicemente l’amico/familiare/amante/ che risultava vicino al potente del momento.
Al di là dei fatti di cronaca, ho tentato di capire meglio come funziona l’assegnazione di un alloggio popolare. Sono rimasto meravigliato della differenza di punteggi, regolamenti e tempi di assegnazione fra le varie regioni, addirittura fra i Comuni che in effetti hanno 8.000 regolamenti e canoni differenti (si va dai 12 € mensili di Pescara ai 300 di Milano). In alcuni casi è necessaria la residenza prolungata, in altri bisogna dimostrare di avere un reddito e in generale le graduatorie sono formate da punteggi complessi da analizzare per chiunque. In linea di principio sono avvantaggiati nella concessione i soggetti che richiedono l’assistenza dei servizi sociali comunali, quelli che non avendo la possibilità alloggiano presso dormitori pubblici, nuclei familiari con soggetti invalidi e naturalmente famiglie con molti figli o con reddito inferiore alla soglia di povertà, stabilita in genere sotto i 25.000 euro annui. La cosa più bella è che i bandi escono ogni 4 anni e se uno non vince la lotteria al primo colpo può aspettare anche 8 o 12 anni. Nel frattempo lo stato di necessità è diventato stato di depressione totale. È evidente che, secondo il solito schema italico, brigare con l’amico, raccomandarsi, salire di graduatoria, anticipare i tempi, scavalcare un altro ancora più povero, è il gioco al massacro più empio che si possa immaginare: un gioco violento e assurdo voluto dalla congiunzione astrale di funzionari e politici.
Ma le domande che da anni mi faccio impongono una riflessione sull’essenza stessa di “Casa Popolare”. Perché queste case devono essere costruite in periferia, possibilmente senza servizi, trasporti e negozi? Quale pena punitiva sottende l’attribuzione di una casa popolare? Perché forzatamente brutte dal punto di vista estetico, quasi sempre senza ascensore, senza garage e senza una vita intorno? E perché per completarle ci si impiega un tempo indefinito, quasi mai inferiore ai dieci anni? Perché costruirle con materiale scadente, dove le infiltrazioni, le muffe e la dispersione energetica sono la regola? Perché l’Istituto Case Popolari è una specie di roccaforte inaccessibile, dove non è possibile avere informazioni di nessun genere?
Ho visto molti Paesi ex-comunisti, dove le case erano tutte uguali, tutte grigie, tutte piccole e miserevoli: in questi ultimi decenni tutte quelle amministrazioni hanno tentato di modificare quello stato di cose con interventi seri, organizzati e ben studiati (anche con abbattimenti). I quartieri delle ex case del popolo son diventati dei bellissimi quartieri, vivaci, colorati, pieni di cose e di idee. In Italia invece, in quasi tutti i Comuni, questi palazzoni sono rimasti l’emblema della solitudine, della povertà, dell’abbandono. Nel silenzio generale e soprattutto con un approccio al problema completamente errato, a cominciare dai tecnici, dai sociologi fino ai cittadini comuni, i benpensanti proprietari di belle case e villette.
Se io, da bambino, fossi stato “deportato” da un centro storico, stratificato nella sua storia millenaria, in una di queste case lontane da ogni cosa, non avrei avuto il piacere di integrarmi con la stessa società che in definitiva mi aveva discriminato, allontanato, destrutturato nella mia quotidianità. La povertà economica è divenuta immediatamente povertà culturale e sociale: mi chiedo se sia stato un progetto ricercato (punitivo dicevo), voluto da scelte ben precise oppure nato nell’insipienza di un tempo di necessità e poi mai rivisto per pigrizia o per semplice gioco delle parti.
Non so rispondere e non oso chiederlo neanche agli abitanti delle varie case popolari che in genere hanno le scatole piene di rispondere a quesiti scontati, sentire discorsi retorici e promesse elettorali. La realtà purtroppo è una sola: queste case popolari hanno distrutto le nostre città, hanno degradato le periferie, senza risolvere davvero i problemi dei suoi abitanti, aggravandoli anzi nella sofferenza quotidiana, nella mancanza di bellezza, serenità e armonia. Queste tre cose erano l’essenza della casa nella testa di ognuno di noi: la mafiosità italiana, l’eterna bugia consolatoria ha prodotto invece le nostre periferie, che ormai non sono fuori città, ma sono la città, nell’infelicità di molti.
La mia colonna - il Volantino, 22 settembre 2018
Alfredo De Giuseppe