103 - Il Natale con un po' di Storia - 2019-12-14
Nel 1964, mentre Sergio Leone girava “Per un pugno di dollari” e la Ferrero lanciava la Nutella, io iniziavo il catechismo. Avevo sei anni, non mi posi il problema delle nazionalità degli attori che dovevo studiare. Imparai a memoria tutto, compreso il fatto che dei Giudei cattivi avevano voluto la morte di Gesù, eseguita di fatto dai militari romani. Trascorsero anni di calcio in strada, di tuffi al mare e di apprendistato da chierichetto. Arrivò il momento della Cresima, avevo ormai dodici anni, e chiesi alla mia insegnante di che nazione fossero Gesù e i suoi apostoli. Lei mi guardò stupita e mi disse convinta: di nessuna nazione. Non se l’era mai chiesto neanche lei oppure era un modo semplice e furbo per affermare l’universalità di un messaggio religioso? Non potevo, né sapevo ribattere: la cosa finì nell’arco di trenta secondi.
Il problema obiettivamente me lo sono posto da adulto, quando le destre unite hanno iniziato a martellare sulla nostra identità cristiana, sulle nostre radici, sulla sacralità dei nostri confini. Partendo dalla mia ignoranza, sono andato a leggere qualcosa, a scoprire quel minimo di verità che mi consente di capire da dove vengo.
Se io oggi dovessi insegnare ai ragazzi il catechismo della religione cattolica, partirei così: c’è un libro, la Bibbia, che parla di un Dio unico che ha creato il mondo, ha fatto tutto il resto e tutto vede. Nella stesso libro si annuncia che prima o poi arriverà sulla Terra un figlio di Dio – il Messia – che rivelerà la verità finale e tutto il mondo capirà fino in fondo il mistero dell’universo, della vita e della morte. Ho impiegato un po’ di anni per capire che la grande differenza fra cattolici ed ebrei è tutta qui: i primi sostengono che il Messia è già stato tra di noi, ha vissuto, è morto sulla croce ed è resuscitato; gli ebrei invece pensano che il Profeta inviato dal loro unico Dio debba ancora arrivare. Noi cristiani, per raccontare della discesa del Figlio di Dio, facciamo riferimento a quattro libri, detti i Vangeli, che a più riprese tratteggiano una figura filosofica, condita da parabole ed episodi miracolistici, che configurano un intento universalistico di amore tra le singole persone e tra i popoli nel loro complesso.
Nel frattempo aggiungerei che nei luoghi dove sono stati scritti tutti questi libri sacri, infuriano ancora oggi una serie di guerre, grandi e piccole, che dimostrano come evidentemente le profezie eterne e semplificate non portano la pace. Ma questo sarebbe un altro discorso. Quello che interessa è rispondere alla domanda che mi feci a dodici anni: chi sono, da dove vengono tutte le persone di cui si parla nei Vangeli, compreso Gesù, Giuseppe e Maria?
Intanto gli autori dei testi: quelli della Bibbia sono innumerevoli, in un lasso di tempo di circa 1.500 anni, hanno scritto in ebraico e alcune piccole parti in aramaico. I Vangeli invece furono scritti in greco. Il primo lo scrisse Marco che era nato a Cipro, poi a seguire Luca che era di Antiochia in Siria, Giovanni era nato a Betsaida in Israele e Matteo nel villaggio di pescatori di Cafarnao, sul lago Tiberiade. Pur essendo vissuti tutti nel secolo successivo alla morte di Cristo non c’è nessun latino tra di loro.
Gesù nacque nella regione della Giudea, uno dei posti più antichi fra quelli abitati dall’uomo: la città di Gerico è ininterrottamente abitata da circa 11.000 anni. La sua città natale fu probabilmente Betlemme (Marco, il primo evangelista, non lo scrive), poi visse la gioventù a Nazareth e l’età adulta a Cafarnao. Tutta la vita di Gesù si è svolta in quei 100 km che oggi sono teatro delle contese fra israeliani e palestinesi. In ogni caso la sua famiglia e lui stesso erano certamente ebrei, tant’è che Luca racconta che Gesù fu circonciso e presentato al Tempio. Quindi sul fatto che Gesù fosse ebreo non ci può essere nessun dubbio (però questa ovvietà mi fu omessa sia a 6 che a 12 anni).
Il presepe, la cui raffigurazione inizia in realtà nel Medioevo, ama presentare poi una serie di personaggi ritenuti storici, fra cui i Re Magi. Ne parla solo il vangelo di Matteo, che esplicitamente dice che provengono dall’Oriente, ben ornati, ricchi di doni, ma anche con la carnagione tendente al nero. Insomma, per farla breve, in tutta la fase nascente della religione cattolica non v’è traccia di antisemitismo, e soprattutto non compare nessun tedesco biondo, alto e robusto e neanche un italiano con la chitarra in mano.
Salvini, Meloni e tutti i proto-cristiani che li seguono dovrebbero farsene una ragione: proveniamo dall’Africa e dall’Oriente, siamo miscelati da secoli di contaminazioni, siamo figli di una stessa terra e per chi ci crede, di uno stesso Dio. Il rosario in mano durante i comizi, le immaginette dei santi evocate nei talk-show, la decantata superiorità occidentale derivante dalle nostre stesse origini divine, tutte insieme miscelate dentro un drink allucinogeno farebbero ridere se non avessero sempre condotto a guerre, genocidi e divisioni.
Per favore, con questo Natale, mentre allestiamo il presepe, insegniamo ai nostri bambini un po’ di storia: anche quei giudei orientali, buoni e cattivi, nostri antenati, ne sarebbero felici.
La mia colonna - il Volantino, 13 dicembre 2019
Alfredo De Giuseppe