112 - Io e Farinetti - 2020-03-14
Mentre infuria il Covid-19 (con il termine Coronavirus in realtà ci si riferisce a una vasta famiglia di virus) con tutte le sue conseguenze sanitarie, sociali ed economiche, nel frattempo che si registra un aumento esponenziale di ipocondriaci, di isterici e di millantatori, nel tempo in cui l’Italia viene sigillata e controllata come non mai, circola nel web un video di Oscar Farinetti.
Io e Farinetti, per un certo periodo facevamo lo stesso mestiere: vendevamo elettrodomestici ed elettronica di consumo. Lui, partendo da Cuneo, aveva ereditato dal padre un negozio dal nome Unieuro e ne aveva fatto un’importante catena nazionale. Io invece, partendo da Tricase, avevo creato, insieme ad un paio di amici, il marchio Magazzini Gema. Entrambi cercavamo il modo di unire risorse e creare sinergie per affrontare il difficile mercato dell’elettronica. Lui utilizzò un grande magazzino in Forlì per sviluppare la rete in franchising e io partecipai a Bari alla nascita di un consorzio di imprese del sud, con un nostro deposito a Casamassima presso il Baricentro. Eravamo agli inizi degli anni ’90, le piccole botteghe sparivano, nascevano negozi sempre più grandi e sempre più assortiti, dall’hi-fi alla lavastoviglie. La trasformazione del mercato imponeva riflessioni e innovazioni. Su questi temi la Philips organizzò un convegno presso un importante albergo di Bari. A parlare, proporre e discutere tutte le aziende più performanti del settore. Sul palco, oltre ad un certo numero di manager, c’eravamo io e Farinetti. Io parlavo della nostra giovane esperienza consortile, lui della visione futuribile del consumer, della distribuzione di massa di ogni pur piccolo apparato elettrico, dell’avvento prossimo futuro della telefonia portatile. In un certo senso eravamo anche concorrenti, perché lui tentava di espandersi anche al sud, come poi fece, e noi volevamo creare un polo d’eccellenza e di efficienza con le nostre forze. Ci scambiammo due battute, mi invitò presso la sua sede, mi disse che era molto interessato alla nostra esperienza, ci salutammo con simpatia.
Naturalmente non ci vedemmo mai più. Unieuro divenne sempre più importante, il nostro consorzio invece si sciolse (come spesso avviene al Sud). Magazzini Gema chiuse i battenti (e me ne dispiace ancora oggi), lui invece vendette la sua creatura a un fondo inglese e con quei (tanti) soldi fondò Eataly. Io tornai nel mio paesello e aprii un supermercato. Tornammo a fare lo stesso mestiere, ma con dimensioni completamente diverse. Da una parte un progetto che voleva esaltare l’agroalimentare italiano nel mondo, dall’altra una scelta di pura sopravvivenza fra un caffè al bar del centro e una partita di calcetto. Seguii naturalmente con interesse lo sviluppo di Eataly che, al contrario di quanto pensano alcuni detrattori, è stata ed è una grande idea imprenditoriale, oltre che un grande contenitore di pura italianità.
Nel video, riproposto ora in grande stile, con sottotitoli in inglese, (è una conferenza del 2015), Farinetti invita all’orgoglio di essere italiani in tutte le sue sfaccettature. L’Italia, una nazione così piccola che è unica per la sua posizione geografica dentro un mare ancora vivo, che grazie ai venti fa sopravvivere 7.000 specie di vegetali mangiabili (il Brasile ne ha 3.300), 58.000 specie animali fra mare e terra, che riesce ad avere 1.200 vitigni autoctoni (la Francia ne ha 222). In questo piccolo lembo di terra emersa, lo 0,2 del pianeta terra, si sono incontrati l’homo sapiens e l’uomo di Neanderthal, qui è nato il primo Impero coordinato da leggi e organizzazione sociale, il Rinascimento ci ha consegnato il più importante patrimonio artistico mondiale. Insomma l’orgoglio di essere nati nel posto giusto, dove c’è tutta la bellezza del paesaggio e la biodiversità più profonda. Un messaggio rilanciato nel momento di maggiore crisi dell’immagine italiana, con il turismo a pezzi e le esportazioni bloccate. Una sana ed euforica iniziativa, nel segno del fondatore di Eataly (lui e Tonino Guerra lanciarono lo slogan di Unieuro: “non può morire l’ottimismo, è il profumo della vita!”).
Però all’amico Farinetti avrei fatto aggiungere delle piccole considerazioni. Com’è possibile che una tale ricchezza non sia studiata nelle scuole italiane? Dove la storia dell’arte è quasi abolita, così come storia e geografia. Dove nessuno implora una materia scientifica sulle specie presenti nel territorio. Né esiste uno studio approfondito delle caratteristiche della propria città, della propria regione. Avrei aggiunto che l’homo italicus è dimentico di sé, è supponente senza approfondimento, si è perso dietro la commedia all’italiana, si è spento dietro la Tv commerciale, dopo che per secoli si era pentito dietro il paravento del confessionale. Io avrei aggiunto questo su quel palco, lui non lo ha fatto. Forse per questo suo ottimismo intelligente ha meritato il successo che ha avuto. Forse per questo, io, nel mio fatalismo mediterraneo, non avrei mai potuto seguire le sue orme. Messaggio finale, direttamente a Farinetti: caro Oscar non ti invidio, costretto come sei, ad essere sempre ottimista. Io ancora non ci riesco.
La mia colonna - il Volantino, 14 marzo 2020
Alfredo De Giuseppe