115 - La liberalizzazione dell'artigiano - 2020-04-04
Conosco un artigiano che ha quattro dipendenti, che ora sono in cassa integrazione, ha dei figli in cerca di occupazione e non sa ancora come potrà uscirne. Conosco un calzolaio che ha pensato più volte di essere inutile e invece tutti i giorni aveva un bel lavoro da sbrigare: ora nessuno ha scarpe da riparare. Conosco gli edicolanti che non vendono più i giornali, siamo tutti abbonati al web. Ci sono bar che vivevano con l’impegno di una famiglia, grande o piccola che fosse, e che ora sopravvivono con l’aiuto di genitori e nonni. Conosco persone che hanno negozi di abbigliamento che sono sull’orlo della disperazione. C’è chi vende articoli da regalo e ha intuito che per molto tempo ancora non ci sarà niente da regalare. C’è chi organizzava compleanni e matrimoni, fotografi e camerieri a chiamata, e si sono ritrovati dentro un rinvio senza termine. Conosco tipografie ormai senza inchiostro e dei librai senza lettori e senza classifiche. Conosco degli ambulanti che vendevano di tutto e ora hanno il loro vecchio furgone, chiuso dentro un garage, pieno di merce che nessuno vuole. Conosco alcuni titolari delle luminarie per le feste patronali, quelle che saranno rimandate all’anno che verrà. Conosco un ristoratore che credeva molto nella sua idea, aveva aperto tre locali, aveva investito molto, ora non sa se riaprirà. Conosco molte persone che avevano trasformato la loro casa in B&B e che ora non sanno neanche se arriverà l’estate. C’era ancora chi faceva il muratore, l’idraulico e l’elettricista e oggi sono in attesa di capire, se, come, quando. E infine tanti professionisti, geometri, ingegneri, architetti, giovani avvocati e commercialisti, che si chiedono perché hanno studiato, che sono allo sbando, in attesa di capire che fare della loro vita.
Molti di loro sono dentro un incubo chiamato semplicemente miseria. Sono le persone senza alcuna tutela, per loro non c’è cassa integrazione o reddito di civiltà, non c’è anticipo del TFR, non possono andare in pensione, e poi, soprattutto, non possono guadagnare. Già prima era difficile, imbottigliati fra un mercato asfittico, una burocrazia incessante e una concorrenza spietata, ora è impossibile per decreto legge. Le piccole attività, esposte a tutti gli eventi, dalla pioggia fino alla delinquenza, dai balzelli inutili fino ad Amazon. E per di più con l’etichetta di evasori, dentro uno Stato che ha imparato a non rispettare nessun impegno, a disperdere quel genio italico che era nel nostro DNA.
Era evidente ormai da anni che queste persone erano in balia del primo venticello. La liberalizzazione, la proliferazione di ogni attività, senza alcun controllo, aveva generato un esercito di poveri mascherati, di schiavi di sé stessi, di portatori d’acqua senza infamia e senza lode. Questo virus è un vento forte, un tornado che spazza via le piccole attività, le vite comuni, quel corpo sociale di lavoratori a tempo pienissimo, quelli che in sostanza mantenevano l’intero sistema, fra un assegno post-datato e una multa esagerata. Mentre le grandi aziende trovavano paradisi fiscali per aggirare il fisco italiano, mentre i grandi evasori potevano contare sulla complicità delle banche consociate con altre banche straniere, loro, gli uomini e donne che conosco, denominati oggi Partite Iva, stavano dignitosamente in silenzio. Persone impegnate nell’illusione di un ascensore sociale, senza orari, senza maternità, ferie, che ancora non abbiamo visto in fila alla Caritas o inferocita davanti alle prefetture. Gente temeraria che non ha temuto nulla finora, si è buttata senza paracadute dentro un mondo difficile, troppo fiduciosa in quella cosa chiamata mercato, profusa a tutti i livelli come la panacea di tutti i mali. Forse è arrivato il momento di dire con chiarezza che una società senza regole non funziona, non puoi avere un’attività se non prevedi un fatturato minimo, se non hai ingenti risorse finanziarie.
Non puoi, tu Stato canaglia, garantire tutto ai tuoi dipendenti e abbandonare o abbindolare il tuo ceto produttivo. Oggi non puoi offrire loro una mancia una-tantum, loro hanno dignità e vogliono capire se la loro attività ha ancora un senso, se la loro vita è ancora degna di essere vissuta, se i loro figli devono mettersi in coda per il reddito di cittadinanza o se hanno delle prospettive di una certa decenza. Forse sarebbero pronti a coltivare di nuovo tabacco, o almeno patate, a costo che non fossero considerati come abusivi e contrari alle leggi. Il mercante d’altri tempi era un uomo libero, a suo modo lo era anche il contadino, oggi l’imprenditore ha tutti i vincoli possibili e nessuna protezione. Davvero un capolavoro dell’era post-moderna.
Penso sia giunto il momento di attivare una specie di cassa integrazione dei lavoratori autonomi, non di dare il contributo una-tantum, di fare l’elemosina. È arrivato il momento di fare una bella patrimoniale, di redistribuire la ricchezza, perché nessuno dovrebbe chiedere pietà e misericordia. È arrivato il momento di organizzare l’Italia con il buon senso pratico, spazzando via , una volta per tutte, quella malsana idea di venti regioni diverse e in competizione fra di loro (a chi la spara più grossa). Se davvero un popolo deve accettare di vivere con quasi nulla, è giunto il momento che quel popolo si faccia sentire contro corruzioni, inefficienze e disuguaglianze, dica cose sensate, non si faccia abbindolare da falsi schemi retorici, come la guerra all’immigrato e l’uscita da una moneta. Gente che è diventata chiusa, cattiva, omertosa e risentita, ma che non sa trovare un bandolo della matassa e si aggrappa ad ogni nuovo santino. Un qualcuno che sappia indicare strade nuove, questo è il momento.
La mia colonna - il Volantino, 4 aprile 2020
Alfredo De Giuseppe