Libere fenomenologie del 2022-10-08 - ...della nostra feroce siccità…
“Siccità” è il titolo di un film che ho visto al cinema questa settimana. È un film ambientato in una Roma desertificata, con il Tevere prosciugato, dove non piove da oltre tre anni. Un film di Paolo Virzì, bellissimo, da Oscar, durante il quale il regista, invece di cadere in una sorta di storia apocalittica hollywoodiana, fa intravedere l’umanità che cambia in funzione di una condizione climatica estrema. Anche l’uomo diventa sempre più arido, una città già difficile diventa insopportabile per tutti, piena di blatte infette e senza verde, e infine ogni tentativo di rapportarsi all’altro – figlio, moglie, amante - porta ad un’estrema solitudine. Una difficoltà complessiva che amplifica le differenze sociali: i ricchi hanno acqua in quantità, tutti gli altri fanno la coda per una bottiglia al giorno o al massimo tentano di diventare influencer tramite il web.
Il cinema, si sa, ha spesso anticipato o forse aumentato ciò che la realtà già suggerisce. E il film di Virzì è in effetti attualissimo, anche se pensato ancor prima della guerra in Ucraina e della conseguente crisi energetica. Devo ricordare che già dopo la prima crisi petrolifera del 1973 (fino ad allora il prezzo pagato agli arabi era irrisorio), il cinema presentò molti lavori, definiti di fantascienza, su ciò che sarebbe successo una volta che fosse entrato in crisi il modello di sviluppo basato sull’estrazione delle materie fossili. Tanti film su personaggi in lotta per qualche litro di benzina in città desertificate, tanti film basati sulle guerre tra poveri, con un’umanità ritornata all’oscurità.
Per dirla tutta, sono almeno cinquant’anni che si sa dove saremmo andati a sbattere: un altissimo costo dell’energia, gestita da pochissimi uomini o meglio da poche società senza un identificativo ben precisato, o peggio ancora da pochi Stati con governi dispotici e autoritari. Al di là della fantasia di registi e sceneggiatori, era tutto prevedibile eppure non si è fatto nulla per modificare questo stato di cose, la catastrofe annunciata. Anzi, chi ha tentato in questi anni di parlare di queste cose è stato zittito come iettatore e mistificatore, nel migliore dei casi come ipocrita in quanto usufruiva anche lui dell’acqua calda e dell’auto a benzina.
(Da un mio articolo del 2021: https://www.alfredodegiuseppe.it/index.php/archivio-2021/786-2021-08-senza-limiti-senza-parole-39-parallelo) : “Donella e Dennis Meadows lanciarono in realtà il primo grande allarme sull’ecosistema della Terra già nel 1972, con un report scientifico, pubblicato con il titolo “i limiti dello sviluppo” dove affermavano attraverso vari scenari, basati sulla simulazione al computer World3, le conseguenze della continua crescita della popolazione sull'ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana. Dissero cose così chiare e sconvolgenti che naturalmente pochissimi le presero in seria considerazione. Il loro rapporto fu contestato anche dalla maggior parte degli scienziati che avevano un approccio ottimistico rispetto alla capacità dell’uomo di creare nuove tecnologie per superare le problematiche emerse di volta in volta sul nostro pianeta. Molti politici invece li definirono spesso “catastrofisti dell’apocalisse”, “uccelli del malaugurio” e “scienziati da strapazzo”. I Meadows (scriveva materialmente Donella che era anche un’ottima penna) obiettarono che le risorse sulla Terra avevano fisicamente una loro finitezza e non tener presente tale dato significava non capire la limitata capacità di assorbimento degli inquinanti da parte del pianeta”.
Non si è voluto creare un sistema evoluto che generasse energia a sufficienza per garantire pulizia, stabilità, efficienza e serenità ad una popolazione mondiale che si è raddoppiata dal 1972 ad oggi. A detta di molti scienziati, l’energia solare diffusa in ogni edificio, accumulata e gestita in piccole reti, avrebbe potuto sostituire il 90% del consumo di petrolio e gas, ma le scelte effettuate dai Grandi Sistemi e dalle Grandi Imprese sono state in questi decenni di segno completamente opposto. Anche quando si è ricorso alle energie rinnovabili si è pensato a come canalizzarle dentro un grande network, una specie di mostro onnivoro, sempre più grande, sempre più monopolista (magari mascherato da finte liberalizzazioni). La vera democrazia energetica doveva passare attraverso una miriade di impianti, uno su ogni tetto, uno su ogni fiume, su ogni mare, forse anche sotto il mare. Invece siamo arrivati, per business, ad accettare il CO2, il gas, il petrolio dai posti più lontani, dai dittatori più abietti che utilizzano la ricchezza solo per avere più potere, più armi, sempre più sofisticate.
Ora, questo scenario è davanti agli occhi di tutti, ma nessun politico, nessuna Nazione sta procedendo secondo questa nuova visione, al massimo si tenta di generare nuovi accordi su le ultime risorse fossili ancora esistenti con Paesi ancora più lontani, ancora più intolleranti. Si rischia la guerra nucleare, “però tattica, mi raccomando, da non confondere con quella globale/strategica che porterebbe il pianeta verso la distruzione”, mentre quella tattica/locale serve solo per aumentare il business delle armi (e a uccidere qualche milione di bipedi).
Nel frattempo l’energia costerà sempre di più, la storiella di bonus e ristori, di proteste e illusionisti politici andrà avanti ancora per qualche tempo, le piccole aziende son destinate a chiudere, non esisteranno più.
Quando tutti si accorgeranno del disastro potrebbe essere tardi, però nel frattempo vivremo in modo ancora più feroce, in un’ansia perenne, in un mondo malato terminale dove ogni follia è possibile. Vedere “Siccità” di Virzì può essere salvifico per molti ragazzi.
il Volantino, 8 ottobre 2022
Alfredo De Giuseppe