Libere fenomenologie del 2023-01-21 - ... De Josepho.
Nel giorno del sessantacinquesimo compleanno mi è venuto spontaneo fare una libera fenomenologia di me stesso. Anzi, non esattamente centrata su di me, quanto sul mio cognome, sulla mia discendenza, nata, cresciuta, morta da secoli sempre a Tutino. Per chi non lo sapesse a Tutino, una frazione, forse ora declassata a semplice rione di Tricase, un tempo sua acerrima nemica, esiste una razza in estinzione definita volgarmente dei “tutinghi”, di cui anch’io faccio parte. I tutinghi sono mischiati con i longobardi e gli svevi, ma anche con i turchi e gli spagnoli e infine con gli aragonesi, senza disdegnare qualche gene egiziano, albanese e greco. Insomma una razza mista e ben selezionata, senza macchia e senza paura, che si è fatta sempre conquistare battagliando (al massimo) un paio di giorni per volta. Di volta in volta, il nemico era sempre più forte. E noi tutinghi sempre di meno.
Proprio per scoprire da dove vengo, a quale gruppo umano iscrivermi, verso la fine degli anni ‘80 feci una breve ricerca, condotta tra le vecchie carte dell’anagrafe comunale e i libri storici della parrocchia tutinara. Ed è stato relativamente facile risalire il fiume, senza tuttavia arrivare alla fonte, che probabilmente ci porterebbe verso l’Africa, gli ominidi e le scimmie. Ho iniziato da mio padre Gaetano, nato nel 1935 da Costantino, che era nato nel 1901 da Gaetano, discendente di Costantino che era nato nel 1812, che era figlio di Francesco nato nel 1757, che a sua volta discendeva da Giovanni Battista nato nel 1734, figlio di Giacomo De Josepho (annotato tra parentesi De Giuseppe), nato nel 1695 dal matrimonio tra Giovanni Battista De Josepho (1648) e Maria Addolorata Orlando. E qui si fermano le annotazioni ecclesiastiche di battesimi, matrimoni e morte.
Le radici sono ben salde, la chiesa è ancora lì, il castello di Tutino anche, i miei parenti son tutti nel vecchio borgo. Io ho fatto lo sgarbo di uscire fuori dalle mura e trovare casa al confine tra Tutino e Tricase, superando il ponte della ferrovia che ne delimita militarmente i confini (ma non escludo il ritorno).
In realtà sono rimasto sempre sorpreso da questa continuità storico/geografica di un’intera famiglia, però in definitiva ne sono fiero. Dai particolari annotati sui libri della chiesa (che era ben attenta a mettere in evidenza eventuali professioni e quarti di nobiltà, anche dei padrini) si deduce l’estrema povertà dei miei avi, tutti contadini, probabilmente senza mezzadria e analfabeti, fino al Costantino del 1901 che aveva frequentato fino alla terza elementare. Lui, grazie a quell’acquisita capacità di leggere e scrivere, divenne furiere durante il servizio militare e poi trovò lavoro come magazziniere presso la manifattura di tabacchi Acait. Questo finalmente garantì alla sua famiglia di sopravvivere con una certa dignità. (Ma la casa, due stanze malferme e umide, riuscì a comprarla solo all’inizio degli anni ’60). Fu per questo motivo che decise di far studiare il suo primogenito Gaetano, mio padre, che andando ogni mattina a Maglie, in treno o in bicicletta, ottenne con merito il diploma del Liceo Classico Capece.
Ma torniamo alle origini e alle eventuali eredità genetiche e culturali. Ho visto come De Josepho era annotato in latino fino alla fine del 1600, e quindi la radice non poteva che venire da lontano, da un qualche antico Giuseppe, un qualche vecchio habitué dei classici di storia mitizzata e filosofia teoretica. Son dovuto andare molto indietro per trovare infine il filosofo ebreo con cittadinanza romana, Filone d’Alessandria (20 a.C. – 45 d.C) per leggere il suo De Josepho, dove parla di Giuseppe, figlio di Giacobbe e Rachele, che al tempo dei faraoni divenne un politico colto e saggio, anzi Filone intravede in quella figura del Vecchio Testamento il pastore dei popoli, modello di governo ideale e del modo in cui il sapiente debba rapportarsi con le istituzioni. Si narra della vita di Giuseppe, alquanto complessa e contrastata, per mostrare come l'uomo saggio debba agire nella realtà quotidiana, conoscendo e perdonando.
Filone D’Alessandria, con accenti di modernità davvero sorprendenti, presenta addirittura Giuseppe come “uomo politico” dove la politica ha una forza ambivalente: da un lato la negatività dell’operare tra bugie e contorsioni dettate dalla necessità di convincere gli altri con il compromesso, e dall’altro, la politica come amministrazione costante del bene comune, dove il singolo può tentare di dare il meglio di sé. E questo antenato mi piace molto.
Ho ancora molti progetti nel cassetto, un po’ di libri quasi pronti, video, film, nuove attività e nuovi errori. Certo non mi fermo a questi 65, c’è bisogno ancora di “fare politica” con ogni mezzo, in ogni vicenda. Continuare il filo rosso che lega ogni cosa, che mi ha fatto fermare nel provincia, nel credere 50 anni fa che qui potesse crescere qualcosa di bello, di importante. Tutto è irripetibile, lo so, ma niente ci è negato, neanche scrivere settimanalmente, in piena libertà.
il Volantino, 21 gennaio 2023
Alfredo De Giuseppe