Libere fenomenologie del 2023-04-15 - ...del Berlusconi da esportazione
Vorrei scrivere di Silvio Berlusconi prima che possa davvero lasciarci. Un minuto dopo la sua scomparsa - forse tra una settimana, un anno, un decennio - televisioni e giornali ne canteranno la vitalità, l’intuizione, la ricchezza, la passione e le ingiustizie. Insomma saremo vicini alla santificazione, forse al tentativo di resurrezione e quindi scrivere in quel momento qualcosa di vero sarà molto complicato. Invece il fenomeno Berlusconi va analizzato a freddo, nella sua interezza, nelle sue storture, nelle sue finalità e infine anche nei suoi seguaci, nazionali e internazionali. Perché c’è anche un Berlusca da esportazione, spesso ignorato in Italia.
Quando nel 1993 decise di “scendere in campo” (già il verbo scendere faceva presagire qualcosa di infimo), Berlusconi non era un perfetto sconosciuto. Con l’aiuto della P2 prima, dei Craxiani milanesi e dei democristiani romani dopo, aveva costruito un impero fatto di molte cose, televisioni e pubblicità soprattutto ma anche edilizia, calcio e distribuzione.
L’impero in quel momento era al limite del collasso, nonostante tutte le leggi in deroga approvate dai governi della Prima Repubblica, nonostante la generosità di banche e grandi manager istituzionali. Quando scoppia lo scandalo “Mani pulite”, lui vi è coinvolto mani, braccia e piedi, ma il pool di magistrati decide di lasciarlo per ultimo, come il boccone più succulento che doveva andare a dimostrare definitivamente quel connubio di corruttela generalizzata che stava oscurando la politica e uccidendo l’Italia. Anche i magistrati avevano però sottovalutato quanto potente fosse nel frattempo diventata la macchina deformante dell’informazione in mano ad un uomo solo. Lui, divenuto Primo Ministro, comincia a farsi vittima sacrificale, poi a sconfessare qualsiasi giudice, poi a farsi leggi su misura e infine a delegittimare ogni nemico, interno ed esterno, attraverso i suoi giornali e le sue TV. Eppure si continuava a sostenere che fosse un liberale riformatore.
Il bello di questo schema - un corruttore seriale, magnate dell’informazione, proprietario di molteplici attività, uno degli uomini più ricchi del Paese – è che diventa un modello mondiale. Sembrerà strano: mentre centinaia di giornalisti in tutto il mondo lo considerano inadatto a governare, centinaia di imprenditori nelle sue stesse condizioni, lo guardano come soluzione dei loro problemi. Personaggi pubblici ambigui, dall’incerta situazione patrimoniale, pronti alla guerra contro la Giustizia e la separazione dei Poteri, spuntarono in tutto il mondo. Il virus immesso da Berlusconi, con la complicità dei partiti tradizionali ormai allo sfacelo, comincia a minare le democrazie mondiali, senza che nessuno spari un colpo di fucile. E’ un modello che appare democratico, ma che ha al suo interno tutti i prodomi della dittatura soffice, dove la massa inneggia al suo carnefice, dove gli altri politici si adeguano per sopravvivere.
Il primo esempio viene dalla Thailandia dove Thaksin Shinawatra fonda nel 1998 un partito chiamato Thai rak Thai (I thailandesi amano i thailandesi) che conquista la maggioranza dei suoi concittadini ponendosi come esempio di self made man e promettendo finanziamenti straordinari per 50 milioni di lire ad ognuno dei 37mila villaggi della Thailandia, garantendo visite senza limiti in tutte le cliniche private del Paese con un ticket da 1500 lire e il congelamento dei debiti dei contadini per tre anni, per concludere con un’ultima promessa, “meno tasse per tutti”. In Italia si è parlato pochissimo di questo politico fotocopia del nostro Premier, forse perché infine fu deposto e arrestato per corruzione.
Tra i tanti piccoli epigoni del berlusconismo vale la pena citare Andrej Babis, il leader della Repubblica Ceca che fonda il suo partito, ANO 2011, al fine di "combattere la corruzione e altri mali nel sistema politico del Paese". Diversi studiosi politici hanno osservato, a partire dal 2014, che la democrazia ceca è in declino e che Andrej Babis è il politico più responsabile di tale declino, a causa del suo enorme conflitto d’interessi essendo proprietario dei più importanti giornali, radio e televisioni del Paese. È stato sconfitto solo nel 2021, ma continua ad esercitare un forte controllo sulla politica ceca. La rivista Foreign Policy ha dato a Babis il soprannome di "Babisconi", una combinazione del suo cognome e del cognome del nostro ex primo ministro.
Ma il politico che più di ogni altro ha interpretato al meglio le performance berlusconiane, che ha intuito più di altri la difficoltà della democrazia tradizionale nel difendersi da quei sistemi incrociati tra potere mediatico, finanziario e populista è sicuramente Donald Trump. Lui ha capito che si poteva spingere ancora più in là di Berlusconi, non avendo come invece ha l’Italia, il cappello delle regole europee a proteggere gli USA da certe forzature inimmaginabili fino a qualche anno fa. Lo ha capito anche il Wall Street Journal che, nel ricordare il Silvione ricoverato di questi giorni, lo porta come capostipite di un modello di governo, come esempio seguito da Trump e in parte da Putin. Trump comunque rischia di vincere ancora negli USA, nonostante condanne, bugie, corruzioni, scandali sessuali, diffamazione verso i giudici e un tentativo di golpe. Spaccherà l’America che non sarà mai più la stessa.
Però noi in Italia possiamo andarne fieri. Siamo sempre noi i primi, da Machiavelli in poi. Nel Novecento, Benito Mussolini fu l’ispiratore per Adolf Hitler e per Francisco Franco, oltre che di personaggi minori quali l’austriaco Dollfuss e il norvegese Quisling. Oggi abbiamo la consapevolezza che anche Berlusconi è stato ben esportato, con tutte le conseguenze del caso.
il Volantino n. 12 – 15 aprile 2023
Alfredo De Giuseppe