Libere fenomenologie del 2023-07-22 - ...del turismo insostenibile
Domenica 16 luglio 2023, la temperatura è vicina ai 37°, domani forse saremo intorno ai 40. L’Italia brucia, come un po’ tutta l’Europa. Ci sono scioperi di aerei e treni, c’è un ministro che straparla con i twitt, in Ucraina si spara sempre di più, ma il turismo di massa si muove comunque e si concentra in queste settimane. Il Salento, quella perla di turismo indispensabile alla sopravvivenza di ogni pur misera attività, pullula di persone in cerca di divertimento, di mare pulito, di spiagge caraibiche, di spritz economici e di radiose offerte culturali.
Mi chiama un amico che è arrivato a Lecce alle 8,50 da Firenze. Ha avuto l’ardire di venire in treno con moglie e due figli, pensando di muoversi con facilità con i mezzi pubblici. Prima telefonata: “Ti ho fatto una sorpresa, sono alla Stazione di Lecce. Arrivo a Marina Serra e non mi muovo più. Voglio solo mare, uno spaghetto e una pizza. Sono senz’auto proprio per non cadere nella solita tentazione di fare sette giorni di ferie a circolare inutilmente sotto il sole alla ricerca di un parcheggio”. “Va bene” - dico io, tra l’assonnato e una leggera indifferenza – “ci vediamo nei prossimi giorni. Magari passo io una sera dalla Serra”. Fine prima telefonata .
Ripenso al mio amico di Firenze, che chiameremo “Lorenzo”, quello che conosco da quarant’anni e che ogni anno ci sentiamo per dirci se tutto va bene. I suoi figli li ho visti una volta, sua moglie parla un misto di spagnolo-fiorentino, che la riconosco subito, anche se cambia spesso telefono. Un ragazzo simpatico, con un lavoro normale, con una famiglia normale (come la definirebbe oggi una ministra del Governo Meloni), anche se un tempo faceva parte dell’ala sinistra del PCI. Ogni dieci anni, all’incirca, decide di venire in Salento. L’altra volta soggiornò a Otranto, stavolta ha scelto uno dei posti più in voga nel Sud Salento, quello con la “piscina naturale”, anche se naturale non è (ma è un particolare che nel mondo omologato conta poco, perché l’utilizzo mediatico, il selfie con i figli e gli amici supera di gran lunga qualsiasi storia vera, qualsiasi riferimento al passato).
Alle 9,20 l’amico toscano mi chiama: “Scusa – mi fa – “ma qui, alla domenica treni da Lecce a Tricase non ce n’è. Forse solo uno tra un paio d’ore. Come fo?”. E io con calma: “Prova con il Bus, dovrebbe esserci”. Dopo 10 minuti mi richiama: “Si grazie. C’è il bus, lo stiamo per prendere”. Tiro un sospiro di sollievo. Senza alternative mi toccava andare a Lecce e prelevare un’intera famiglia.
Intorno alle 11, il sole è quasi all’apice, il calore sembra liquefare i miei zoccoli messicani. Meglio stare a casa, a leggere due notizie di giornata, uno sguardo ai progetti nel cassetto, finalmente due ore di relax. Però il cellulare sempre acceso incombe sulle nostre vite. Alle 11,05 (benedetta cronologia del nostro compagno di vita smart phone) mi richiama Lorenzo con un tono stavolta sconsolato: “Non sai che è successo? Siamo arrivati in questa stazioncina di Zollino e il bus per Tricase era già partito perché era pieno. C’è n’è un altro tra un’oretta, senza un orario ben preciso”… “Possibile??” rispondo. “Dai ormai quasi ci sei. Un po’ di pazienza”.
Alle 13 sono a tavola: un piatto di spaghetti con la passata biologica industriale non me lo toglie nessuno, la domenica di luglio. Ecco alle 13,15 squillare di nuovo il cellulare: “Scusa Alfredo, sono vicino alla stazione di Tricase, con quattro valigie e una temperatura che non è misurabile? Dove vado? L’autista del bus mi ha scaricato qui e non ha saputo darmi indicazioni” I miei figli vogliono tornare a Firenze!” “Gli rispondo ridendo: “Bell’idea. Dai resistete tre minuti che vi vengo a prendere e vi porto a Marina Serra”.
In effetti dopo cinque minuti sono davanti al soleggiato e desolato piazzale della stazione. Baci e abbracci, tra sudore e parolacce, entriamo in auto, direzione mare, con i finestrini aperti e l’aria condizionata al massimo. Pochi commenti, pochi sguardi attenti: sono tutti distrutti dal viaggio, dalla calura e forse anche dalla fame. Per arrivare fin giù al mare, circa tre chilometri, c’è da fare una specie di safari tra ruggiti di moto urlanti, tra buche macroscopiche lasciate benevolmente così per essere viste, e auto in ogni dove, in ogni tornante e in ogni anfratto. Verso il Porto c’è un pennacchio di fumo nero: c’è un incendio, si sentono le sirene dei pompieri. Lorenzo esclama “caspita, è pieno” e io annuisco dicendo un banale si, qui è sempre così in estate. Mi fermo al centro strada per far scendere la famiglia, qualcuno suona il clacson, la figlia più piccola mi guarda con un certo disappunto come per dire che cavolo ci sto a fare qui e in questo momento.
In questi ultimi giorni non li ho più rivisti. Solo alcuni messaggi di Lorenzo che mi scrive: “fare il bagno qui è un’impresa, vivere sempre così è da eroi”.
Questa storia di ordinaria quotidianità che comprende l’efficienza delle ferrovie Sud Est, dei trasporti urbani e interurbani nel loro complesso, dimostra l’insostenibilità del turismo di massa, che essendo appunto massa avrebbe bisogno di servizi semplici, chiari e organizzati. Mi vien da dire che tutto questo dimostra, tra l’altro, l’inutilità di questo turismo, la follia dello spostamento massivo di genti che gridano evviva solo per un tuffo in mare.
il Volantino n.26 – 22 luglio 2023
Alfredo De Giuseppe