Libere Fenomenologie del 2023-09-23 ... io sono
Io sono quel migrante, giovane uomo del Centro Africa, che si è messo in cammino per sfuggire agli orrori e ha camminato per due anni, ha attraversato deserti e città, è stato catturato da altri uomini armati, ha visto carceri e lager studiati per accorciare la vita o forse per misurarne la qualità genetica della fatica e della resistenza, ha deciso di prendere il mare senza neanche conoscerlo, di mettersi in contatto con il verso minaccioso della natura, quasi per sfidarla, nell’estremo tentativo di vedere se c’è un destino diverso da quello segnato dalla sua pelle e dalla sua miseria. Io sono quel migrante che stava per morire, poi qualcuno ha salvato, ha portato su un’isola italiana, dove si cela una nuova ipocrisia, dove è stato ammassato come in una qualsiasi porcilaia, selezionato, sezionato, tollerato, mai amato. Io sono quel migrante che prima o poi si ribellerà e probabilmente non avrà pietà, nonostante richieste di intercessioni divine, predicatori falsi e politicanti arroganti. Io volevo solo un po’ di comprensione e ricevo ogni giorno il dono di una nuova prigionia. Io sono quel migrante che lo sarà per tutta la vita.
Io sono quel soldato che sta combattendo sul fronte russo-ucraino e non ha capito ancora perché. Sono quel ragazzo alto e biondo che è stato chiamato alle armi per difendere un’idea di patria che non ha mai ben interpretato, però sta sparando all’impazzata
su case e scuole, sta uccidendo chiunque capiti a tiro, perché così hanno comandato, che sta vedendo morire donne e bambini senza poter chiedere aiuto, che sta al centro di una contesa regionale che poi, a giorni alterni, diventa scacchiera geo-politica di una sfida mondiale. Sono quel soldato che non ha acqua per lavarsi e certezze di cui ubriacarsi, solo un telefono a cui aggrapparsi. Se questa guerra finisce, io sono ancora qui, senza speranza.
Io sono quel nativo americano, figlio di un popolo che aveva una sua cultura e una sua essenza, travolta dai pistoleros europei, che vorrebbe ritrovare l’equilibrio con la natura, ma si rende conto che è ormai tardi e oltremodo contaminato dal nuovo mondo, rinchiuso in una riserva, osservato come un giovane bisonte dentro un recinto, oppure umiliato dentro un pub a bere whisky con le perline al collo. Io sono figlio di qualcuno che prima ha lottato, poi si è arreso e ora ha deciso di rialzare la testa.
Io sono quel nativo australiano che rivendica il diritto di esistere, dopo aver visto i suoi antenati già vivere in quell’enorme isola in mezzo all’oceano ben 65.000 anni fa, mentre gli inglesi sbarcarono per la prima volta solo nel 1788. Gli europei introdussero subito il concetto di proprietà privata che i suoi avi non conoscevano, perché vivevano col pensiero dominante del rispetto per la terra e il significato del Tempo del Sogno, che coincideva con i sogni degli uomini e la creazione della terra. Io sono figlio delle tribù che non considerano gli umani al di sopra o separati dagli altri animali o dalla terra, dove c’è uguaglianza tra tutti gli esseri viventi e la terra stessa. Io sono quel giovane che in questi mesi sta lottando per avere una voce in Parlamento, che ancora una volta sarà deciso, alla fine di questo 2023, con un referendum indetto dai conquistatori europei.
Io sono quel ragazzo iraniano che lotta per uscire dall’oscurantismo religioso, quel pasticcio nel quale ci siamo ficcati da soli, nel quale i nostri padri pensavano davvero in un preciso momento storico che lo Stato etico potesse far funzionare la complessità delle vicende umane. Sono quel ragazzo che contesta, va in prigione, mette in conto la morte per aspirare ad un anelito di libertà individuale, per non accantonare un sogno al giorno.
Io sono quel disoccupato che in ogni parte del mondo elemosina un lavoro, forse perché qualcuno ha detto che il lavoro nobilita l’uomo invece di dire che la fatica di molti può arricchire i pochi. Sono quel giovane che non sopporta più la retorica del buon uomo laborioso quando vede solo sfoggio di beni materiali, di super stipendi garantiti e di enormi diseguaglianze economiche, dentro alcuni compiacimenti collettivi.
Io sono quel ragazzo che ama l’arte, la musica, la storia, che vorrebbe fabbricare canzoni e poesie, non ama i reality, non fa il ruffiano, non si veste come un cretino e fa il cameriere in una grande città per provarci da solo.
Io sono quel ventunesimo secolo, nato nelle speranze di molti, mi posso declinare al maschile e al femminile, sono giovane e preoccupato, consapevole però di esistere e lottare, sperando di non essere solo.
il Volantino n 30– 23 settembre 2023
alfredo de giuseppe