Libere Fenomenologie del 2023-11-18 ... delle bombe indifferenti
Guerra in Ucraina, ed est dell’Europa. Guerra in Israele a sud dell’Europa. Decine di guerre in Africa. In tutto il mondo pare che in questo momento vi siano in corso ben 59 conflitti, quasi tutti all’interno di Paesi perennemente divisi, guerre civili per la conquista del potere o per pochi chilometri di territorio. La guerra è il modus vivendi di milioni di persone, la più gettonata soluzione per ogni tipo di disputa economica, geografica, religiosa e politica.
Un tempo, qualche decennio fa, i popoli che avevano conquistato la pace scendevano in piazza per protestare contro le guerre, le invasioni, i genocidi e i massacri di popoli lontani e sconosciuti. (Si intuiva, allora, che non si poteva mollare su certi principi come il Diritto Internazionale, nato di fatto alla fine della seconda guerra mondiale). Oggi siamo anestetizzati dai mezzi di informazione personalizzati, ce ne stiamo nella comfort zone del nostro vivere quotidiano e ci occupiamo con distrazione di ciò che avviene nel mondo. Anzi spesso abbiamo pensieri alquanto miserevoli: che aumento sulle materie prime ci porterà quel conflitto? quanti migranti arriveranno sul nostro sacro suolo? quante armi in più esporteremo quest’anno? In questo senso i media nazionali sono un disastro totale e a loro volta vittime di un sistema soffocante dove la quantità di informazioni è spesso sinonimo solo di confusione.
Ho partecipato in quest’ultimo mese ad una decina di eventi tra presentazioni di libri, di film, inaugurazioni di mostre, dibattiti sull’intelligenza artificiale, poesie sul clima perduto, fiere e porcu meu, pittule, san martini e santi panaru. In nessuna di queste occasioni ho sentito un vero afflato di umanesimo verso la situazione dei popoli in guerra, mai nessuno antepone la situazione del nostro pianeta nella sua globalità rispetto alla piccolezza dei temi personali, amplificati spesso da una letteratura tutta rinchiusa dentro l’analisi, spesso manichea, del proprio io. Nessuno ha chiesto di rivederci per parlare della Palestina, per analizzarne gli eventi storici e politici che hanno portato quella disgraziata Regione (altro che Terra Santa) a vivere una guerra perenne, nessuno vuole più parlare delle scelte dell’Europa, dell’Ucraina, della Nato. I temi sono molto complessi e paiono riservati ad un numero ristrettissimo di storici, studiosi di geo-politica, matematici dei morti o santoni della profezia biblica. In altri tempi, ripeto, l’analisi era più semplice: basta con la guerra, scendiamo in piazza e facciamoci sentire, prima dal nostro Governo, poi dall’Europa e forse anche dall’ONU. Si manifestava in ogni piazza, in ogni singolo Comune.
C’è oggi qualcuno che, oltre a gridare nel solito talk-show, produce un’idealità contro la guerra, che scatena gli impeti più pacifici possibili, utopie tipo “l’Europa non produca più armi”, oppure “l’Europa esca dalla Nato e formi un solo piccolo esercito comune”? Ricordo che quel poco o molto di evoluzione dell’uomo degli ultimi milioni di anni si è sviluppata intorno ad utopie che all’inizio sembravano irrealizzabili, dalla ruota fino allo sbarco su Marte. Senza utopie muore il pensiero positivo, muore il sentimento umano di empatia e nasce qualcos’altro, che forse in sintesi definirei “rifugio nell’ignoranza tecnologica di massa”.
In tutto questo contribuiscono grandemente la scuola e le famiglie che hanno figli in età scolare (qualsiasi età). L’unica preoccupazione appare il voto, l’applicazione nel metodo di studio e non la conoscenza del mondo. Addirittura, a esemplificare questo concetto, negli ultimi anni la Geografia si studia pochissimo, quasi niente più, eliminata da ogni piano di studi, per poi comparire come cartolina illustrata nei selfie dei VIP nelle varie località alla moda. O al massimo osservate attraverso gli occhi alquanto socchiusi di programmi televisivi come Pechino-Express. La scuola deve dare adito a nuove utopie perché questo è insito nella conoscenza mentre ora appare rinchiusa dentro il fortino del burocratese, con l’aperta disapprovazione verso ogni originalità, verso ogni dissenso.
La Chiesa cattolica, al contempo, appare confusa e divisa: da una parte un Papa che cerca di dare uno scossone ai suoi diretti dipendenti che invece pensano ad altro e non hanno voglia di mettere in pratica accoglienza concreta, pacifismo universalistico, antimilitarismo militante. Anzi il clero, come sempre, è ben schierato, tranne poche eccezioni, con il pensiero dominante, e pensa alla propria sopravvivenza (da qualche migliaio di anni).
Queste prime 666 parole sono la premessa di alcune domande collegate che da tempo mi circolano, mi circuiscono e mi tormentano: come si fa a mettere in piedi qualcosa per incontrarci di nuovo, per creare un movimento collegato al mondo? Com’è possibile dalla provincia più lontana far sentire la propria voce? Come ci si può opporre a tutto ciò rimanendo al calduccio delle nostre case? Dove possiamo intravedere una nuova rabbia che porti il mondo verso un nuovo umanesimo? Nelle nostre sperdute contrade, dove sono finiti i giovani arrabbiati, i professori idealisti, gli intellettuali disadorni, i vescovi anticlericali, i politici senza stipendio, gli influencer della tolleranza e della pace?
Non ho sentenze divine da propinare, ma non vorrei che tutte queste risposte possano arrivare all’improvviso, solo quando una bomba vera dovesse essere sganciata sulle nostre case, sui nostri ospedali, sulle nostre vite.
il Volantino n 37 – 18 novembre 2023
alfredo de giuseppe