2012-02 "Stagioni mediane tra la crudezza del reale e la levità del sogno", di Bianca Paris - 39° Parallelo
Questa non è la prima volta che mi occupo delle uscite letterarie di Alfredo, al secolo imprenditore De Giuseppe, abile nel mestiere quanto rapitore nel racconto.
Spero non sia l’ultima, perché una scrittura così fresca e insieme tosta apre spiragli nuovi su scenari risaputi.
Il nostro, per le verità, sa da sempre come mandare a quel paese la polvere dell’abitudine. Ma con questa ultima fatica, un punto in più l’ha segnato. Lo dico senza lo schermo dell’anagrafe, notorio lasciapassare a strologare in lungo e in largo, senza pagar dazio. Perché, a far testo, basta e avanza l’originalità oggettiva di queste pagine che, piccole e brevi realizzano la felice accoppiata di sbrigliare la fantasia dell’autore, senza annoiare quella del lettore. Un piccolo miracolo? No: una cosa certamente bella, ma, attenti, non fiorita a caso.
Qui l’impianto è stato studiato a tavolino. La struttura è da ingegneria genetica.
Gli ingredienti sono: prospettiva del racconto, tracciato dei luoghi, personaggi, tappe; pagine di diario e di pensieri. Il tutto rilegato in un modo che la dice lunga sull’arguzia dell’autore: le pagine non sono nell’ordine suindicato. Sono incastrate a pettine. Il che offre al lettore la leggerezza dell’alternanza. Si parte dall’angolatura del racconto; l’autore la chiama mediana, per dire che la visione dei fatti è quella di un uomo di mezza età, equilibrato al punto giusto e straconvinto che splendori e bui assoluti ( se pure esistono ) rappresentano una parte assai marginale della realtà. Tutto il resto è grigiore e abitudine: cose che non ti spediscono certo in paradiso. Ma che non ti scaraventano nemmeno nell’inferno.
La medierà ( per gli antichi, sede eletta della Virtus ) questo è il filo conduttore: l’esistenza mediana, pane per i denti di questa scrittura densa e sostanziosa come è il luogo del racconto: la litoranea marina Serra-Leuca; la costiera che, manco a dirlo, ha tutti i numeri e tutte le lusinghe per esaltazioni metafore e voli di fantasia. Ma l’autore rifugge da quelle sirene. Le lascia agli operatori turistici.
Perché a lui, sopra ogni cosa, interessa la storia che ha strisciato e striscia su quel luogo.
Vuole sapere come su quelle baie insenature cale calette e scogli aguzzi vissero generazioni di poveracci che, affamati da una terra bella, ma assetata e aspra, si dannarono l’anima per strappare al mare cibo e sale.
E vuole conoscere e far conoscere come se la passa al giorno d’oggi quella tale categoria di uomini e donne che, sempre per campare, ha aperto punti di ristoro, su quelle stesse insenature cale calette e scogli aguzzi. E allora, eccolo qui, l’alter ego del Nostro, il cronista armato di taccuino a ripercorrere le tappe obbligate di questa litoranea. Le marine, ognuna diversa dall’altra. Le marine ognuna uguale all’altra nella medierà casereccia dei servizi.
Ed eccolo lì, lo stesso cronista, in incontri forse cercati, certo ripetuti e muti con un altro da sé, questa volta in versione femminile, una turista non giovanissima, emiliana o forse brianzola. Di certo disponibile a disinvolte distrazioni.
E con questo, l’affresco di varia umanità, su un paesaggio da dei, potrebbe dirsi completo.
Ma all’autore la litoranea Serra-Leuca sta stretta.
La utilizza come trampolino; e di lì si lancia nel macrocosmo della attualità politico-economica, ma con un paracadute sicuro: l’ironia e autoironia dell’analisi che sbaraglia il rischio della supponenza. Niente lezioni ex cathedra, per carità.
Il Nostro dice la sua, con la semplicità di una chiacchierata fra amici “sotto l’orologio”. Ma anche facendo spazio a personaggi che di mestiere fanno i pensatori. Una manciata di citazioni, selezionate con acume da Serena Laporta, punteggia infatti queste pagine, e le chiude con uno dei passi più irridenti di Simone De Bouvoir, la scrittrice esistenzialista alunna si Satre.
Non fosse che per l’originalità dell’impianto e per questo tocco di eleganza culturale “Stagioni Mediane merita la lettura.
Sono certa che l’avrà, per la ragione che a nessuno basta la visione personale della realtà.
Presi e compresi della croce/delizia del quotidiano, in ogni momento sperimentiamo che quel quotidiano non ci basta affatto.
Vogliamo sapere cosa c’è fuori dal nostro caldo nido. Ma poi nemmeno questo ci basta. Perché oltre all’esistente vogliamo conoscere il possibile, ciò che non è. Ma potrebbe essere.
E dove andiamo a pescarlo? Nel modo in cui un altro, diverso da noi, vede quella stessa realtà. E ce la racconta. Questa è la calamita nascosta nel cuore di tutte le arti, a qualsiasi livello di qualità situate.
L’essenziale è che abbiamo quel guizzo capace di farci intravedere il chiaroscuro sospeso tra la crudezza del reale e la levità del sogno. La scrittura di Alfredo è nel novero.
Al singolo lettore, la libertà di collocarla nella scala delle sue personali preferenze. (ovviamente). Buona Lettura
39° Parallelo - Febbraio 2012
Bianca Paris