2009-01 ''Mio padre'', di Virginia De Giuseppe
Stamattina ero nella cucina della mia nuova casa da studentessa vecchia, vecchia in confronto alle matricole, s'intende.
È suonato il citofono, era il postino e aveva un pacco per me.
Sapevo già di cosa si trattava e sono corsa giù a maniche corte per la fretta.
Mio padre mi aveva inviato una bozza del suo nuovo libro. intitolato “Spesso un paese".
Torno in cucina e lo scarto davanti alle mie amiche, trovo anche una breve lettera e la leggo ad alta voce. Non c'erano sentimentalismi, anzi era breve e concreta, eppure le ragazze mi guardavano stupite e con lo sguardo sognante: era pur sempre un uomo che mi aveva scritto! Anzi a dirla tutta era proprio il primo uomo di cui ognuna di noi è stata innamorata sin dall'infanzia.
E quella, anche se tacita, era una dimostrazione bella e buona di un amore ricambiato.
Il libro è in realtà un saggio breve, contiene pochi scritti e molte foto.
Apre con una sintesi sulla vita di Antonio Attrotto, un avventore assiduo del bar che frequenta mio padre per la colazione del mattino; un avventore con la “cartola”, però.
“Avere la cartola”, nel linguaggio bolognese, è il più bel complimento che possa ricevere un uomo.
È un mix tra fascino, virtù, virilità e onore. Per intenderci James Bond ha la cartola: Mel Gibson in BreaveHeart ha la cartola; e Antonio Attrotto, dalla sua sedia al primo livello, ha la cartola.
Poi c’è una descrizione di Giuseppe Pisanelli, l’uomo a cui è dedicata la statua della piazza, da cui anche l’omonimo bar. Quasi nessuno si è mai domandato qualcosa in più su quella statua, io in primis, mio padre, tra tutti i suoi impegni, si sarà documentato bene per poter scrivere quelle poche righe. Ma soprattutto si è incuriosito (sarei stata curiosa di assistere all'attimo in cui si è incuriosito).
Segue un excursus sull'occupazione della struttura del bar dal 1500 ad oggi. Anche qui ricerche e la sua curiosità.
Poi la presentazione di Milena, la barista che ogni mattina prepara il caffè. Mio padre riesce a descriverla leggermente in sovrappeso senza risultare offensivo. Per una donna la parola “pesa" fa direttamente rima con “offesa”, e invece Milena quando leggerà il libro pubblicato sorriderà e si sentirà stranamente lusingata, senza sapere neanche lei perché. Garantito.
Nella “filosofia di Antonio” emerge la brillante abilità di papà nell'entrare nei più profondi abissi dell'animo umano. E lo fa con un lessico semplice e conciso. Con 3 parole rende concetti estesissimi, capacità questa che finora ho trovato solo in alcuni dei più grandi classici della letteratura. La prolissità è invece tipica della nostra abituale e quotidiana cultura italiana, spesso però una prolissità vacua o che confonde.
La sedia di Antonio è forse il passaggio più ironico, per quanto l'ironia ,a volte velata, è presente in ogni singola parola di tutto il libro.
Solo il finale è lievemente più malinconico, come tutti i finali dei libri di mio padre.
Lui in fondo ama la malinconia, è l’indispensabile carburante per lo sviluppo della sua sfera artistica e sentimentale (Malinconia e arte d’altronde sono due compari inseparabili). È la camera iperbarica per la sua mente troppo attiva e positiva.
l troppo attivi e positivi e basta di solito sono dei gran “stronzi”.
Lui è troppo attivo e positivo e malinconico, per questo può scrivere.
Può guardare fuori dalla finestra della cucina, la mattina, malinconico dai pensieri di cose grandi.
Poi, ispiratissimo, sedersi al computer e trasformare i pensieri in parole.
Dopo di che, andare al caffè Pisanelli, fotografare il nuovo sindaco.
Gennaio 2009
Virginia De Giuseppe