2024-11-23 "Pubblichiamo uno stralcio dal libro di ALFREDO DE GIUSEPPE, “40 lunghi campionati”" - il Volantino

  

Come siamo cambiati…

In quarant’anni il mondo è cambiato. E il mondo del calcio non poteva che cambiare con esso. Non parlerò qui di Internet e del dominio tecnologico, ma limiterò lo sguardo al calcio e alla città che ho sempre tentato di raccontare, la mia Tricase.

Il calcio professionistico si è radicalmente modificato, è diventato uno show planetario, dove le star sono calciatori e allenatori, dove i tifosi allo stadio sono folklore perché, ovviamente, sono una minoranza rispetto alla grande platea televisiva. L’introduzione del pagamento da parte dell’utente per poter godere di un’ottima visione da casa ha fatto il resto, ha cioè allargato la possibilità economica di ogni società. Del resto non è che ai tempi del Grande Torino, della Juve targata Fiat o dell’Inter di Herrera e Mazzola, del Napoli di Maradona e Careca o del Milan di Berlusconi e Van Basten girassero pochi soldi, anzi la sproporzione con il reddito di un medio lavoratore è stata sempre elevatissima.

Molte riforme invece si son rese via via necessarie (!) per rendere più telegenico lo sport del pallone che gonfia una rete (una trasmissione come la prima edizione di 90° minuto, di puro servizio pubblico, oggi non sarebbe concepibile). Nei primi anni ’80 la Serie A aveva 16 squadre, poi portate a 18 e oggi a 20, due stranieri per squadra. Poi è arrivata la legge Bosman, una rapida liberalizzazione totale, tant’è che oggi anche alcune squadre giovanili delle Serie professionistiche non hanno neanche un italiano in campo. Non c’erano sponsor sulle magliette, oggi ci sono tanti marchi, spesso di società di scommesse, quando un tempo era ammesso solo il Totocalcio e vincevi indovinando 12 o 13 risultati. Il calcio-mercato era molto limitato, oggi i giornali sparano ogni giorno in prima un nome sconosciuto (un record dell’atletica, del tennis o del ciclismo va con un trafiletto in quinta) che serve a vendere i giornali e a scaldare i lettori-tifosi, sempre desiderosi di grandi nomi. La Coppa dei Campioni la disputava solo chi vinceva lo scudetto, la 2° e la 3° disputavano la Coppa Uefa. I mondiali si giocavano con 16 squadre, gli Europei con 8. Oggi si perde il conto tra recuperi, play-off e nuove norme d’accesso, con gare importanti solo perché trasmesse in diretta europea. E poi una serie di piccole modifiche delle regole di gioco, dal retropassaggio al portiere fino all’introduzione del VAR che fanno dire a tanti: il calcio si sta evolvendo verso un altro sport. Ma poteva la tecnologia rimanere fuori dal calcio? Hanno cambiato anche i palloni, li hanno fatti più leggeri e colorati, pur di far notare che il calcio si evolve. Certo è un business, ma ormai non conosco molte categorie dove non vige sopra ogni cosa la regola della domanda e dell’offerta. Il famigerato MERCATO ha pervaso le nostre vite, vince ovunque e farsene una ragione, magari avendo qualche strumento critico nel proprio bagaglio, aiuta a sopportare meglio il mondo che ci circonda. Nello sport in generale contano molto i soldi, è una divagazione di massa che piace ai potenti e ai rivoluzionari. Di questo dobbiamo esserne certi: la contraddizione alberga nel nostro cervello ominide.

Altro discorso nel calcio dilettantistico. Esso ha perso consistenza in coincidenza con il potenziale aumento di spettatori virtuali, di esperti di marketing calcistico, di commenti in studi televisivi di ogni livello. Qualche decennio fa, una partita contro il Galatina, il Nardò o lo Scorrano muoveva centinaia di persone, in paese c’era un fermento legato allo “scontro diretto”, la vittoria o la sconfitta potevano migliorare o peggiorare l’umore di un’intera settimana di una comunità. Oggi ci sono pochi spettatori, ma anche pochi dirigenti, pochi appassionati e spesso molto arrabbiati. Gli Ultras, dove esistono, hanno uno scarso interesse per il risultato sportivo in sé e amano per di più la loro stessa familiarità, il loro bisogno di farsi sentire e notare, con tanto di nomi, date e simboli che poco hanno a che fare con la squadra del cuore. In questi ultimi decenni sono stati spesso in disaccordo con la società, soprattutto quando non viene attrezzata una grande squadra che vinca facilmente quasi tutte le partite.

Il Tricase Calcio in questi quarant’anni ha seguito tutte le dinamiche della società che la circondava. Ha avuto momenti di gloria e passione, e altri di depressione e chiusura. Ha visto, verso la fine degli anni ’90, la sua massima espressione, prima con il passaggio dai Dilettanti ai Professionisti e poi con la permanenza in Serie C2 per 5 campionati consecutivi. Poi una rapida discesa fino alla chiusura di società di capitali, dei sogni di gloria eterna e il nuovo inizio ripartendo dal gradino più basso. Oggi galleggia in un limbo che non soddisfa nessuno ma che evidentemente non si può facilmente superare, pur con la buona volontà di chi dirige e sponsorizza. (Anche se non mancano le polemiche tra nuovi e vecchi dirigenti, tra chi vuole un giocattolo per sé e chi vuole una grandeur collettiva. Non è questa, del resto, la deriva sociale e politica a cui stiamo assistendo a livello nazionale e mondiale?)

Se dovessi immaginare una vera rivoluzione per il Calcio a Tricase, partirei dalle strutture sportive e da una loro completa rivisitazione. Il campo di via Olimpica, ribattezzato San Vito, andrebbe completamente demolito e ricostruito con sistemi più adeguati ai tempi e magari in modo eco-sostenibile, tipo pannelli solari e acqua riciclata da quelle piovane. Le strutture immaginate negli anni ’60, spesso costruite in modo approssimativo, sono inguardabili architettonicamente, sono consunte e pericolose, difficilmente riparabili. Come nel 1964 il calcio iniziò in modo più strutturato grazie alla costruzione del Campo di Via Matine, oggi si dovrebbe mettere mano al San Vito in modo risoluto per ridare nuovo slancio ad un movimento sportivo ormai logoro e vissuto nell’indifferenza generale. Se è stato abbattuto a Londra un tempio come Wimbledon, penso si possa fare anche a Tricase con il fatiscente e abbandonato San Vito.

il Volantino, 23 novembre 2024

Alfredo De Giuseppe

 

 

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