21 -Voti senza frontiere del 2021-07-17
Tre brevi riassunti di storie italiane (incluso Sallusti).
La giudice Silvana Saguto, chiamata a gestire i beni confiscati alla mafia della provincia di Palermo è stata condannata nell’ottobre 2020 a otto anni e sei mesi di reclusione (l’accusa aveva chiesto 15 anni) dal tribunale di Caltanissetta. Nel corso del processo la Saguto, accusata di aver gestito in modo illegale, in cambio di favori e denaro, le nomine degli amministratori giudiziari dei patrimoni sequestrati e confiscati alla mafia, era stata già radiata dalla magistratura con una decisione del Csm. Il processo ha visto anche altre condanne: per l’ex amministratore giudiziario Gaetano Cappellano Seminara, facente parte del “cerchio magico” della Saguto, è arrivata una condanna a 7 anni e sei mesi; per il marito della Saguto, Lorenzo Caramma, sei anni e 2 mesi per aver ricevuto consulenze illegittime da Cappellano; per l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo una condanna a 3 anni; sei anni e 10 mesi per il docente universitario Carmelo Provenzano; per l’amministratore giudiziario e avvocato Walter Virga un anno e 10 mesi; sei mesi a Emanuele Caramma, figlio di Saguto. Quel che preoccupa in questo processo non è tanto la conclamata corruzione del giudice quanto l’estesa complicità di amici e familiari. Questo spiega in parte perché molti beni confiscati ai clan mafiosi non viene mai riassegnato ad Enti territoriali o benefici, come prevede la legge.
Nel gennaio 2019 il PM Antonio Savasta era stato arrestato insieme al collega Michele Nardi e all’ispettore di Polizia Vincenzo Di Chiaro con l’accusa di corruzione in atti giudiziari e concussione nell’ambito di un’inchiesta definita il “sistema Trani”. Nel luglio 2020 Savasta è stato condannato a 10 anni di carcere, oltre alla confisca di beni per 2,4 milioni di euro. Nella sentenza sulla giustizia truccata, il gup di Lecce, Cinzia Vergine, accoglie in pieno l’impianto accusatorio della Procura nei confronti dell’ex pm Antonio Savasta, condannato con rito abbreviato per aver pilotato sentenze e vicende giudiziarie e tributarie, tra il 2014 e il 2018, in favore di imprenditori coinvolti nelle indagini, in cambio di mazzette in denaro, gioielli e in alcuni casi diamanti, ma anche regali costosi e ristrutturazioni di appartamenti. Condannati anche l’altro ex pm tranese Luigi Scimé (4 anni) che è attualmente in servizio a Salerno, l’avvocato Ruggiero Sfrecola (4 anni e 4 mesi) e l’avvocato Giacomo Ragno (2 anni e 8 mesi). Quattro anni di carcere per l’imprenditore Luigi Dagostino, ex socio di Tiziano Renzi, il padre del leader di Italia Viva. In questo caso va notata l’estesa vicinanza a colleghi magistrati e forze di polizia da parte di un PM che aveva grandi disponibilità di beni e denaro.
Nell’aprile del 2021, il Gip di Bari, Giuseppe De Benedictis è stato arrestato per corruzione in atti giudiziari insieme all’avvocato barese Giancarlo Chiariello, colti in fragranza di reato mentre si scambiavano bustarelle e favori, per facilitare impropriamente scarcerazioni di malavitosi di vario livello. Dopo il primo arresto fu scoperto un arsenale di armi da guerra in una masseria di Andria, di proprietà dell’imprenditore agricolo Antonio Tannoia, anche lui finito in carcere. Circa 200 pezzi furono ritenuti di proprietà di De Benedictis tra fucili, mitragliatori, pistole, esplosivi, bombe a mano, una mina anticarro e circa 100mila munizioni di vario calibro. Il prosieguo delle indagini ha portato i poliziotti a scoprire un altro arsenale, questa volta in un box nella disponibilità del caporal maggiore dell’Esercito Antonio Serafino, che era stato ripetutamente intercettato mentre parlava con De Benedictis di armi, del loro approvvigionamento e anche mentre sparavano insieme a Ruvo, nella notte dell’ultimo Capodanno. Gli investigatori - diretti dalla Procura di Lecce – oltre a 1 milione di euro trovato nello zainetto del figlio, hanno accertato che un’altra assurda quantità di armi trovate dalla squadra mobile di Bari in un box a Ruvo di Puglia erano nella disponibilità dell’ex magistrato. Si ipotizza che fossero conservate in favore in un qualche clan mafioso. Insomma un vero e proprio arsenale ben custodito da un GIP, con la complicità di un certo numero di amici.
Fin qui le notizie ANSA: tre storie in mezzo a tante, certamente clamorose, anche se gestite con una certa discrezione dai media locali e nazionali. Non posso esimermi, in questa rubrica, dall’affibbiare un voto vicino allo zero a tutti i protagonisti delle vicende appena riassunte.
Eppure c’è un risvolto positivo, che forse andrebbe segnalato con più forza. Tutti questi personaggi sono stati arrestati, processati e condannati da altri PM, altri GIP, altri giudici. Invece l’operazione organizzata da Sallusti – voto 3 - e Palamara (voto 1, anche lui imputato ed espulso dalla magistratura) con il libro “Il sistema. Potere, politica affari: storia segreta della magistratura italiana” tende a dimostrare che tutto il sistema è marcio, che tutti sono coinvolti, che tutto è da buttare. È un’operazione che già con Berlusconi è riuscita benissimo: non è stato lui a immettere nel sistema un virus micidiale, ma lui, poverino, ha sbagliato quanto gli altri, forse meno degli altri. Perché così fan tutti, quindi cancellando di fatto le scelte e le responsabilità personali. Tutto il sistema politico è marcio, quindi le Istituzioni tutte da smantellare. Per cui si arriva all’assurdo che la narrazione quotidiana mette un Vendola sullo stesso piano di un Berlusconi, la Boldrini forse ancora più in là.
Nella realtà va ribadito un concetto basilare: i paesi democratici hanno una sola caratteristica in comune, una Magistratura indipendente dal potere politico, possibilmente autorevole, veloce, attenta ai più umili, lontana dai richiami di populisti giudizi sommari. È frutto di questi tempi inquinati pensare che tutto sia uguale, tutto una marmellata. Questo ragionamento ha un alto valore distruttivo, un disegno che porta come al solito all’uomo solo al comando.
il Volantino, 17 luglio 2021
Alfredo De Giuseppe