24 - Voti senza frontiere del 2021-08-28

 

Andare in Afghanistan 

Quando ero molto giovane pensavo che invecchiando sarei diventato più saggio. Pensavo infatti che la sommatoria delle vicende vissute in prima persona, di quelle studiate e di quelle raccontatemi avrebbe portato ad avere più certezze, a capire meglio il mondo, le persone che lo vivono. Avevo la sensazione che i miei dubbi fossero dettati dall’inesperienza, dalla lontananza geografica dai centri del potere, dalla voglia di perfezionismo che ad una certa età coglie tutti i ragazzi che iniziano a fare cose, un sacco di cose. Ora, tralasciando le imperfezioni dei familiari, di cui certamente sono colpevole, sento che i dubbi, le inconsapevolezze, le rabbie, con il passare degli anni, sono andati aumentando, mai diminuiti. Soffro anzi di apprensione mista a commiserazione verso tutte quelle persone che conoscono con certezza la loro posizione, dalla fede alla famiglia fino alla politica, quelli che puntualmente si innamorano di una bandiera e non la mollano per un lungo periodo, per poi, con la stessa forza, rinnegarla e stracciarla, sputandoci sopra.

Capita così che tanti pensieri ricorrenti legati alle guerre, pieni di dubbi e ricordi, siano stati al centro di queste ultime settimane. Ricordo benissimo quando nel 2001, le destre al potere in USA con Bush, in Italia con Berlusconi, in Francia con Sarkozy (voto 1 a tutti e 3) oltre al laburista Tony Blair (voto 2, uno in più perché si è ritirato) decisero di partire all’attacco dell’Afghanistan per cercare i terroristi di Bin Laden (voto zero), per “esportare la democrazia” e per fermare il traffico di stupefacenti (oppio specialmente). L’attacco alle Torri Gemelle aveva motivato l’America e la Nato a muovere nuovamente militari, aerei e carri armati. Ricordo molto bene che molti, e io con loro, dissero: non si va con i bombardieri a cercare poche decine di terroristi, al massimo con una squadra di intelligence e con un serio supporto umanitario. Niente da fare: americani in testa e tutti dietro a fare guerre, a cercare di normalizzare, a cercare di bombardare selettivamente, a cercare di creare governi fantocci con uomini legati all’Occidente, a quei governi di pace che fanno le guerre. È morto Gino Strada in questi giorni (voto 9). Lui era uno che già allora, in sintesi, diceva: non andiamo per favore con i militari, ma con i muratori; costruiamo ospedali, scuole, asili, strutture d’accoglienza per le donne sole, questo è il modello occidentale che dovremmo esportare, quello che prevede, dall’illuminismo in poi, il rispetto della persona, la dignità del lavoro, che non fa distinzione fra sessi, etnie e religioni. Addirittura forse potevamo esportare un pensiero laico, come dice oggi Giuliana Sgrena nel suo ultimo libro, perché “il Dio dei tre monoteismi odia le donne”. Invece abbiamo esportato armi e importato droga, che negli ultimi vent’anni è diventato per gli afghani l’unica forma di sostentamento possibile. È uno schema che non ci lascia scampo, però non insegna nulla ai governi e ai media: lo abbiamo ripetuto in Somalia, Libia, Libano, Iraq e ovunque abbiamo fallito, per il semplice motivo che amiamo risolvere il tutto, da sempre, con le guerre. Ricordo che solo gli USA per sostenere il loro esercito in Afghanistan, hanno speso 300 milioni di dollari al giorno per vent’anni, una cifra enorme, sufficiente  a fare ricco un paese di strutture sportive, strade e scuole. L’Italia ha speso circa 9 miliardi di Euro in vent’anni (con voto favorevole di ogni governo, di ogni colore). Il pensiero dominante è stato guerriero e l’emotività di questi giorni, con migliaia di cittadini, uomini, donne e bambini, che cercano di scappare non porterà a un nuovo approccio, al massimo ad un nuovo intervento militare, magari della Russia. Oppure un’occupazione silenziosa della Cina, che cercherà di allargare il proprio raggio d’influenza con un modello non propriamente liberale. Eppure tanti politici, giornalisti e faccendieri che allora erano favorevoli a bombardamenti a tappeto, oggi fingono di essere dispiaciuti, come se in vent’anni non ci fossero stati i modi e i tempi per rivedere le modalità complessive dell’intervento.

Evitando dunque di sovrapporre questa mia flebile (provinciale) voce a quella dei tanti saccenti commentatori, colgo l’occasione per rinnovare un invito più concreto. Nel 2018, in piena follia salviniana (rinnovo voto 2) del primo governo Conte che prevedeva zero accoglienza, costituimmo a Tricase un Movimento che chiamammo MARE APERTO – Coordinamento del capo di Leuca contro ogni razzismo. Ci incontrammo più volte a Tricase presso l’asilo Tommaso Caputo, facemmo una serie di azioni di volontariato, e soprattutto entrammo in contatto con decine di associazioni e persone che erano vicine a quel pensiero di apertura, accoglienza, tolleranza, libertà di pensiero. Poi Salvini andò a casa, lo stesso Conte rettificò il tiro (benché le leggi attuali sono tutte da correggere) e l’Associazione ha avuto un periodo di letargo pandemico. Però quella forza esiste ancora e non dobbiamo disperderla, anzi dobbiamo incrementarla. Dobbiamo affrontare questa crisi afghana con altri paradigmi, ci dobbiamo di nuovo ritrovare, interrogandoci su noi stessi, la nostra civiltà, la nostra ricchezza, la nostra povertà, la fine del modello militare occidentale. Fare qualcosa per accogliere le persone che disgraziatamente vivono in quel paese è un nostro dovere morale, politico, quasi esistenziale.

il Volantino, 28 agosto 2021

Alfredo De Giuseppe

 

 

                                                      

 

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