26 - Voti senza frontiere del 2021-09-11
La libertà di Assange è la nostra
Mercoledì 8 settembre c’è stato a Roma, davanti a Montecitorio, un sit-in di alcuni (pochi) cittadini affinché l’Italia conceda subito Asilo Politico a Julian Assange, con l’approvazione della mozione presentata dai parlamentari de “L’alternativa c’è” (Pino Cabras e altri). Giornali e telegiornali i grandi assenti, oltre naturalmente i partiti politici, che considerano queste battaglie con logiche da codice penale individuale e non come fenomeni da osservare, come campanelli d’allarme per la libertà di stampa. Un concetto sempre più astratto, convulso e rivoltato nei mille rivoli dei social, ma sempre più difficile da applicare anche nelle democrazie più avanzate.
Assange, attraverso il suo sito Wikileaks (voto 9), nel 2010 mostrò al mondo la crudeltà delle azioni di guerra, postando su internet una serie di video in cui le truppe americane commettevano degli atti di estrema crudeltà verso militari e civili. In seguito Chelsea Manning, che prestava servizio presso il Pentagono, passò ad Assange decine di migliaia di documenti secretati sulle guerre in Iraq e Afghanistan. Lui li diffuse attraverso il coinvolgimento di varie testate in tutto il mondo, fra cui in Italia, L’espresso. Per questi motivi - diffusione di segreti di Stato - è ricercato e praticamente rinchiuso in Inghilterra da una decina d’anni, prima all’interno dell’Ambasciata dell’Ecuador e dal 2019 nel super carcere di Belmarsh.
Nonostante sia stato proposto più volte per il Nobel della Pace, nonostante l’ONU e l’Unione Europea abbiano dichiarato arbitraria tale detenzione, Julian Assange è ormai un uomo distrutto, incarcerato, vilipeso e difeso da una manciata di persone. Questo è forse l’aspetto più grave: imprigionare il giornalista che rivela cos’è davvero la guerra non suscita più nell’opinione pubblica mondiale un roboante senso di ribellione e indignazione, ma solo una totale indifferenza. Il mondo sta davvero cambiando sotto i nostri occhi: negli anni ’70, gli USA rappresentavano ancora una speranza di modello democratico, via via sparito, disintegrato dalle logiche turbo finanziarie e da governi sempre più reazionari. Forse anche da una crescente ignoranza e impoverimento di quella che una volta si definiva “classe media” e che oggi si è sciolta dentro le parole cliente e utente.
Era un altro mondo quando la Corte Suprema americana, nel 1971, emise una storica sentenza a difesa della libertà di indagare e pubblicare atti dei vari Enti Governativi, che così recitava nella sua parte essenziale: «Nel primo emendamento i padri fondatori hanno dato alla libera stampa la protezione che essa deve avere per realizzare il suo essenziale ruolo nella nostra democrazia. La stampa doveva servire i governati, non i governanti. Il potere del governo di censurare la stampa fu abolito affinché la stampa rimanesse per sempre libera di censurare il governo. La stampa fu protetta affinché potesse rivelare i segreti del governo ed informare il popolo. Solo una stampa libera ed indomita può effettivamente svelare gli inganni del governo.»
Questa sentenza rese possibile, ad esempio, le dimissioni del Presidente Nixon, che non fu in grado di bloccare i due giornalisti del Washington Post che indagarono senza rivelare le fonti sul caso Watergate.
Il processo di appello sull’estradizione negli Stati Uniti di Julian Assange avrà luogo a Londra il 27 e 28 ottobre e quindi la manifestazione di mercoledì scorso aveva il senso di sensibilizzare i grandi partiti politici, il governo italiano e gli intellettuali televisivi. Assange rischia 165 anni di carcere e sarebbe molto difficile per lui affrontare e vincere quella causa, per il semplice motivo che l’aria è cambiata, la cultura della violenza di Stato è accettata da tutti come necessaria e preventiva. In nome di una cosa impalpabile, chiamata Sicurezza, spesso frutto della più accurata propaganda, della massima copertura mediatica.
Con queste logiche in molte parti del mondo è negata la libertà di stampa, intendendo anche le notizie diffuse attraverso il web. Reporter Senza Frontiere ricorda che ogni anno circa 50 giornalisti perdono la vita durante lo svolgimento del loro lavoro, di indagini approfondite su affari pericolosi, in genere coperti da potenti uomini dei servizi segreti o da altri enti governativi. Sempre dal recente rapporto annuale di Reporter Senza Frontiere apprendiamo che il 73% dei 180 Paesi valutati è caratterizzato da situazioni ritenute "gravissime", "difficili" o "problematiche" per la professione giornalistica. Solo 12 Paesi su 180, ovvero il 7%, contro l'8% del 2020, mostrano una "buona situazione": una percentuale che "non è mai stata così ristretta dal 2013", secondo Rsf. La classifica annuale per la libertà di stampa vede ai primi posti Norvegia, Finlandia, Svezia, Danimarca, Costa Rica, Olanda, Giamaica, Nuova Zelanda. L’Italia occupa il 41° posto e gli USA addirittura il 44°.
Vorrei qui ricordare anche Ján Kuciak (voto 10), un giornalista investigativo che lavorava per il sito slovacco Aktuality.sk (aveva collaborato anche ai Panama Papers), incentrando le sue indagini sulla gestione di fondi strutturali dell'Unione Europea nel suo paese. Il ventottenne giornalista fu ucciso nel 2018 insieme alla fidanzata Martina Kušnírová, mentre indagava sugli intrecci fra il governo slovacco e la ‘ndrangheta calabrese.
Per questi motivi la detenzione di Julian Assange (voto 9) non è un fatto privato, non è un gioco per ragazzi annoiati davanti al computer. È in ballo la libertà di espressione di ognuno di noi (che è il sale della vita sociale). Rivendichiamo il diritto/dovere di esercitare il controllo su ciò che decidono i nostri rappresentanti chiamati a gestire il potere delle moderne democrazie. Essere a Roma l’otto settembre (un nuovo 8 settembre) a ricordare tutto questo a molti assonnati onorevoli sarebbe stato importante. Nel nostro piccolo siamo vicini ad Assange e a tutti gli uomini che hanno creato la libertà di tutti, cercando la verità.
il Volantino, 11 settembre 2021
Alfredo De Giuseppe