1983-03 "Un teatro in cerca di fantasia" - Nuove Opinioni
Fra il 27 dicembre e il 3 Gennaio ’83 abbiamo visto a Tricase due commedie, “A pensione” di Angelo De Carlo, messa in scena dalla compagnia di Gerardo Forte e Rita Fracasso e “Che croce sti fili” di Fulvio Battocchio interpretata dallo stesso insieme al “gruppo dialettale tricasino”.
Quel che meraviglia di questo nostro teatro dialettale è la congenita mancanza di fantasia.
Da un po' di tempo ormai si rappresenta un improbabile vecchio, malandato, ubriacone e bisbetico, con i figli giovanissimi e una moglie tutta attenta alla casa, un po' pettegola ma sincera e senza macchia. Il vecchio, poverino, ha problemi di pensione, o di far lavorare il figlio, senza mai concedersi una trasgressione, (amore, odio o voglie matte) che lo farebbero diventare più rappresentabile. Perché il nocciolo è questo: si vuole fare un teatro realistico, aperto ai problemi di tutti i giorni, un teatro vicino al popolo, rappresentando acriticamente tutti i più beceri e insulsi luoghi comuni della nostra convivenza. Possibile che a nessun autore (e ce ne sono molti, sembra!) salti in mente di rappresentare la vita ottusa e grigia del nostro impiegato, magari trentenne, che porta la moglie al cinema ogni Natale e al mare ogni ferragosto (“tanto mi basta perché noi pensiamo alle cose serie”)?
Non voglio suggerire scenografie ma mi sembra che non fossilizzarsi in un’ “idea di teatro” possa aprire nuove strade , possa il teatro, anche quello divertente e popolare, diventare un mezzo di comunicazione e discussione.
E lo sforzo di apparire apolitici a tutti i costi è ridicolo (vedi rappresentazione della commedia “A pensione” in cui si dice: “attenti, piccoli intellettuali irrealizzati! Non azzardatevi a criticarci perché il pubblico ci adora”), o assolutamente demagogico se la conclusione della commedia invita a “muoversi ma a trovare la persona giusta perché tanta gente ci vuole prendere per fessi”. Insomma il nostro teatro, fisiologicamente molto povero per l’assenza di una vera ricerca del dialetto o di situazioni storiche, stenta anche ad essere un teatro di contenuti perché, come dichiarato dagli stessi autori, non si vuole spronare o inventare ma solo rappresentare.
Si tenta anche di essere divertenti, anzi si accentua sempre di più la tendenza verso la sceneggiata con ripetuti abbracci, invocazioni alla Madonna, e figli cattivi che diventano buoni.
Questo richiamo alla fantasia mi sembra importante perché presuppone studio, applicazione, amore.
Può sembrare anacronistico ma con l’uomo sempre più attaccato alle proprie pantofole, sempre più angosciato dai Fanfani vari, la nostra immaginazione, il nostro ridere con intelligenza dei fatti della vita (che rimane lo scopo principale della commedia) possono risultare vincenti.
Insomma il teatro a Tricase è una realtà, se non altro, come dice Battocchio, a livelli di “stare insieme”.
Non sono in dubbio neanche la buona volontà e lo sforzo di autori e attori. Ora tutto questo potrà avere uno sviluppo se, tralasciato l’attualismo , solito e piagnucolone, saprà scavare dentro le nostre emozioni e se saprà superare le manichee distinzioni di buoni e cattivi, onesti e disonesti.
Se i messaggi non saranno declamati in fastidiosi dialoghi ma saranno essi stessi parte integrante della trama. Se, al di là della polemica dialetto-italiano, saprà farci ridere raccontando il nostro sforzo di fare meglio.
Nuove Opinioni - 3 Marzo 1983
Alfredo De Giuseppe