1997-01 "Del territorio compatibile" - Nuove Opinioni
In un’epoca in cui tutti parlano di Internet (ma gli utenti in Italia sono ancora pochissimi), di villaggio globale, bla-bla e tutti sanno tutto, osservo il Salento e mi pongo delle domande.
Tutti amano parlare del Salento come “terra bellissima”, ma pochi fanno qualcosa per conservare la struttura originaria; pochi hanno bene impresso il concetto di “sviluppo compatibile”, dove quell’aggettivo dovrebbe indicare il rispetto più profondo per il territorio che ci circonda.
E allora mi chiedo: perché le “zone 167” fortemente volute da tutti, devono essere necessariamente costruite in maniera disarmonica e con materiali non idonei? Perché quasi tutti i nostri centri storici sono abbandonati, per far vivere gli stessi abitanti in brutti palazzoni condominiali? Hanno avuto, questi inconsapevoli fuggitivi, l’acqua corrente ed il bagno in caso: ma non era meglio investire in fognature ed acquedotti e aiutare con piccoli finanziamenti i singoli piuttosto che distruggere un territorio e disperdere migliaia di miliardi? Perché quando le amministrazioni comunali e provinciali ampliano una strada distruggono un antichissimo muretto a secco e lo sostituiscono con un bel “blocco” di cemento? (In Irlanda ogni anno vanno tanti leccesi a godersi il paesaggio pietroso, ventoso e…intatto!!)
Perché non è ancora nato, come del resto sembra ormai scontato in ogni parte del mondo, il concetto di conservazione reale del proprio territorio, che cerchi di valorizzare tutti i particolari che lo possano rendere unico?
Chi decide che nella campagne si buttino giù (o si deturpino) le vecchie pajare e si sostituiscano con costruzioni cubitali, anonime ed orribili alla vista di qualsiasi comune mortale? (Esclusi i proprietari, naturalmente, che presi singolarmente andrebbero psicanalizzati). Chi ha deciso di cementificare le nostre marine, cosa che, peraltro, non ha portato nessun utile né economico né turistico? Il giorno di Natale a Tricase Porto, circolavano non più di dieci auto. Dov’è quindi la necessità di costruire altre strade, altri porticcioli, altre rotonde e altri parcheggi?
Chi ha deciso che quindici Comuni, praticamente legati l’un l’altro, debbano avere ben quindici zone industriali, quindici zone artigianali e nessuna veramente funzionale con ferrovia, strade e porti, mentre tutte e quindici insieme deturpano, con strana e ferma determinazione, delle bellissime (pietrose) campagne? Non era meglio ipotizzarne una, ma bene integrata, organizzata e compatibile con il territorio esistente? E inoltre, perché nel lessico comune la parola “sviluppo” equivale a industria? Chi l’ha detto?
E perché nessun politico nostrano (eloquente, presenzialista, demagogo: cioè vuoto) tocca questi temi, neanche i nuovi (tanti) candidati sindaci? Possibile che tutti questi uomini, a volte apprezzabili per altruismo, parlino astrattamente di problemi senza avere cognizioni, sensibilità ed idee riguardo al nostro territorio? Lo sviluppo futuro passa attraverso la ricerca della qualità della vita, di uno sviluppo armonioso e della tenace conservazione di una propria originale tipologia ambientale.
Mi sembra, da osservatore comune, che nessuna delle tre ricerche abbia avuto da noi il primo soffio vitale, né che il sentimento sia ben condiviso da larghe fasce della popolazione. Infatti, tutti noi, nel privato, continuiamo la sistematica distruzione di tutto ciò che ci circonda.
Ancora una volta – e non è il solito richiamo qualunquista – è una classe dirigente che deve farsi carico di lavorare seriamente attorno al nuovo. Ma per lavorare bene è utile sancire dei sani principi per scegliere i nostri rappresentanti e forse anche i nostri burocrati. Chi vuole emergere, rappresentare gli altri deve essere una persona che legge molto (almeno da Voltaire in poi), che studia i problemi, che abbia voglia di viaggiare e conoscere, e che, al di là dell’onestà, abbia il coraggio di rischiare (anche su se stesso, qualche volta), riportando nella propria realtà ciò che ha imparato dallo scambio di idee con il resto dell’umanità.
Tutto il resto, Internet compreso, se non parte da queste basi, è aria fritta.
“Nuove Opinioni” – Gennaio 1997
Alfredo De Giuseppe