2007-06 "La liberazione dei panettoni di cemento" - Il Gallo
La crisi che ha colpito la politica di Tricase, anzi quell’impazzimento che ha colpito il ceto politico italiano nella sua interezza, può essere vissuto, discusso, interpretato da molti punti di vista. In questi ultimi giorni, finiti i comizi post-crisi (peccato siano mancati quelli intra-crisi), nel microcosmo nel quale vivo ho avuto l’opportunità di raccogliere tre favole con morale sul modo di amministrare, sulla logica che muove il denaro delle Amministrazioni e quindi il nostro.
A Tricase, sull’antica strada della Chiesa dei Diavoli che va al Porto, qualche anno fa fu acquisito un terreno, furono piantati gli alberi tipici della nostra terra, costruiti muretti, cancelli e palizzate da qualche legge. Fu dato il nome di Bosco Biotopo di Tricase, fu fatta una bella inaugurazione e quindi abbandonato a se stesso, anzi ai vandali, che in questo paesaggio non mancano mai. Oggi il bosco biotopo è una selva di erbacce con gli alberi seccati e gli steccati divelti. La politica ambientalista è questa: annunci, inaugurazioni e quindi abbandono. E’ dura essere veri ambientalisti: lo paghi sulla tua pelle, rinunciando a qualcosa, dando qualcosa di tuo. Questo atteggiamento al momento appare un miraggio.
Sempre sulla stessa strada si son visti sorgere come funghi, negli ultimi mesi, dei cilindri in cemento incastonati fra le pietre, inseriti in modo selvaggio fra i muretti a secco. Cosa sono? I terminali della condotta che dovrebbe portare l’acqua in quelle campagne, partendo dal deposito in costruzione del recupero delle acque reflue. Peccato che il deposito si stia costruendo fra mille difficoltà, anche giudiziarie, sulla strada per la Marina Serra e che tutti lo diano per definitivamente bloccato. Questo progetto nato dalla mente inutilmente megalomane dell’ex assessore Grazia Francescato è totalmente inutile perché andrebbe a portare acqua dove non serve, dove ci sono solo ulivi secolari e dove mancano le estensioni per colture intensive. Il progetto, ben finanziato, prende spunto da ciò che hanno fatto gli israeliani nei deserti riportati a coltivazione, ma qui nessuno ha ancora capito che per fare l’agricoltura mancano i contadini e le terre (eppure la Francescato commissionò una storica indagine conoscitiva sulla comunità di Tricase). Belle strade di campagna dissestate da enormi buchi e asfalti mai completamente risistemati, muretti antichi mortificati e trafitti: danni reali al nostro paesaggio, alla nostra cultura, alla nostra vista, al nostro turismo, in cambio di enormi rubinetti d’acqua che non si apriranno mai.
L’ultima favoletta riguarda la centrale Via Cadorna. Poco prima del Natale 2006 furono apposti dei panettoni in cemento che dovevano impedire il parcheggio, consentendo il solo flusso delle auto in senso unico. I commercianti hanno ravvisato da subito delle difficoltà, le hanno evidenziate e poi infine si sono adeguati, movimentando quegli orribili manufatti in cemento, a secondo delle loro esigenze. Per mesi questi blocchi di cemento si spostavano, le catene che li tenevano uniti cambiavano ogni giorno lunghezza ed intensità, con un’immagine francamente brutta oltre che ridicola. Poi, due giorni dopo l’arrivo del commissario prefettizio, i panettoni gialli sono spariti da via Cadorna, come per incanto. E così uno dei primi atti di ordinaria amministrazione ha avuto il senso della liberazione e dell’ordine. Perché le scelte sul traffico e sulla vivibilità delle nostre città non hanno bisogno ormai di interventi provvisori, ma di studi approfonditi, di immaginazione sul futuro che una comunità si vuole dare. Queste cose a metà, queste rivoluzioni del cavolo, annunciate solitamente a mezzo stampa amica, aumentano la confusione generale. Di idee soprattutto, ma anche di ruoli e passioni.
Il Gallo - Giugno 2007
Alfredo De Giuseppe