2008-06 "L’uccello misterioso" (inedito fino al 2022-02-18) - FB

La casa dove abito confina con un bosco, un piccola macchia di conifere piantate un po’ a caso, cresciute poi a dismisura, che non hanno fra di loro distanza e luce sufficienti, in perenne lotta per evitare di seccare. Nessuno le cura, né le pota, né le innaffia.

La casa è posta su una serra a poche centinaia di metri dal mare, dove il vento è l’elemento di base, estate e inverno, esposta a due mari, ad ogni soffio dei Balcani e del Sahara. Gli unici momenti di vera tranquillità meteorologica li trovi solo alla fine della primavera, fra maggio e giugno, di ogni anno, all’incirca. Quello è un momento magico, con l’esplosione dei colori, l’odore del frumento raccolto e dei finocchi selvatici che crescono in quantità tali da far venire idee industriali. Ti vien voglia di fare una corsa serale e di aspettare l’alba o alzarti di primo mattino e cavalcare il sonnacchioso cavallo che è in stalla da mesi, oppure piantare un albero fuori stagione o infine mangiare da solo due ciliegie appena raccolte, a luci spente, chiedendo il silenzio globale, guardando le stelle e le intermittenze dei satelliti. Per pochi ma lunghi minuti, strappati alla giornata normale.

Quello è il periodo in cui ogni anno arriva nel bosco un uccello, sicuramente solo uno, che non sono mai riuscito a vedere, ma solo a sentire, al calar della sera. Emette un suono gutturale, ripetitivo, capace di andare avanti per ore, fin quasi le prime luci dell’alba. Non essendo un ornitologo ho chiesto più volte ad amici che casualmente erano con me, che tipo di uccello fosse. Molti non sapevano, molti dicevano dei nomi strani, tipo strigiformi o civetta o gufo. Ad altri sembrava il verso di un’anatra sofferente o ferita, ad altri ancora sembrava di aver sentito di un enorme pappagallo bianco che era sfuggito al suo padrone. Nessuno sembrava convinto della propria tesi:

- bisognerebbe almeno intravederlo. -  Difficile in un bosco di notte.

Poi una mattina vidi un mio confinante, il vecchio contadino, con sigaretta e accendino, fermo  al muretto del bosco:

- Ciao, Benito, scusa la domanda: ma che uccello è quello che tutte le notti arriva nel bosco e fa un verso strano, come un richiamo o meglio un lamento? – chiesi avvicinandomi con fare deciso, come sapevo che a lui piaceva.

- Ah si, l’ho sentito pure io, stamattina presto. E’ semplicemente l’uccello della morte – ripose con chiarezza e senza tentennamenti. Lo disse con un’espressione di sufficienza, di chi si meraviglia che l’altro non sappia. Era inutile chiedergli il nome scientifico o altri particolari: era da sempre l’uccello della morte.

All’improvviso ricordai le paure di mia nonna quando ascoltava quel verso e quando ci raccontava la malasorte che portava in sé quell’uccello. Una cosa da non credere eppure da rabbrividire. Nella mia mente da adulto avevo rimosso quel pensiero di malaugurio e pensavo che un uccello avesse il diritto di un suo proprio grido, disperato o di piacere, e lo volesse comunicare agli altri. Normalmente, come avviene in natura, pensai quella mattina: i presagi di sventura non possono essere affidati ad una creatura con le ali che ha il solo demerito di fare uno schiamazzo poco gradevole.

Poi di nuovo la notte e ancora quel verso ripetitivo, un richiamo continuo a qualcosa che non c’è, che non è presente in quelle vicinanze. Poi ancora un’altra notte, costretto a chiudere tutte le finestre per non sentire. La cosa che mi disturbava di più non era l’idea della morte, ma che venisse a schiamazzare a venti metri da casa mia, proprio nelle prime giornate d’estate, anzi le uniche belle giornate che mi aspettavano. Le solite cose sbagliate: perché rovinare un idillio della natura, con la natura stessa?

Ero ormai agitato, la sera, appena arrivato a casa, tendevo l’orecchio per capire se l’uccello era ancora lì o fosse andato via, poi alzavo lo sguardo al cielo e vedevo le stelle, la frescura, dolce e riposante, con un lontano stridio dei grilli. Poi entravo in casa e dopo qualche minuto, lui ricominciava: già, lui, oppure era una lei, la morte al maschile.

Una sera tornai un po’ più tardi del solito, l’uccello già faceva il suo verso, entrai in casa e cominciai a leggere. Con fare automatico, accesi la televisione e non sentii più alcun rumore esterno, poi spensi per addormentarmi e quel grido mi parve più vicino e più forte. E allora volli dimostrare a me stesso il mio lato ardimentoso: uscii in piena notte, dissi a Bubba “andiamo a vedere”. A lui che bastava ascoltare la mia inquietudine per capire, mi seguii in silenzio, come un cercatore di selvaggina. Fu così che con Bubba, il mio cane nero quasi Labrador, mi avviai verso il bosco: non l’avevo mai fatto di notte. L’uccello continuava imperterrito con il suo richiamo. Scavalcai con una qualche fatica il basso e largo muretto a secco, dovevo fare attenzione a quelle piante di corbezzoli che nascevano spontanee fra le pietre. Il cane saltò prima di me e mi indicò la strada. Mi avvicinavo al punto da cui proveniva quel verso: ero deciso a vedere in faccia la morte. Arrivai sotto un albero, pensavo che quello fosse l’albero giusto, mi fermai, cercai al buio di carpire un movimento, mentre il richiamo si era fatto vicinissimo. All’improvviso vidi due luci nel buio, erano i suoi occhi, avevano incrociato i miei, mi sembrò un sogghigno di sollievo, il suo ultimo verso. Sbatté le ali e, con quel semplice gesto, l’uccello della morte andò via e per quell’anno non tornò più.

Da allora, ogni anno, intorno alla metà di maggio, c’è sempre un uccello nel bosco che di notte canta, richiama o gorgheggia, finché io non vado a spaventarlo. Anzi la mia impressione è che lui mi aspetti per andar via, vuole misurare il mio coraggio prima di appollaiarsi in qualche altro posto. Non mi interessa più che tipo di uccello sia: lo aspetto ogni anno, lui arriva nelle notti più belle e dolci e poi, con un po’ di audacia, lo mando via. Tornando verso casa mi soffermo nel profumo di glicine, colgo la moderata soddisfazione di Bubba, rifletto sulla bellezza di quell’uccello che sa volare da un albero all’altro. Quando verrà la morte avrà i suoi occhi attenti.

Giugno 2008 (inedito)
Pubblicato FB 18/02/2022

Alfredo De Giuseppe

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