2009-05 "Un giorno di Maggio" - Il Volantino
È una mattina di maggio un po’ombrosa, ma già calda quella del 15 maggio del 2009. C’è un microfono con un altoparlante, prontamente fornito dalla ditta Delta Service, vicino all’edicola di Gigi De Francesco. La storica edicola di Tricase, posta in un cunicolo del convento dei domenicani, che molti si ostinano a definire ex, con Gigi che ne è l’animatore social/culturale oltre che il titolare.
Gigi è sulla porta, a un metro dal microfono, lo vedo gesticolare come per dire “a che ora si parlerà?”. Le tre sedie di plastica bianca sono occupate come sempre da disoccupati e pensionati con turni che appaiono casuali e che invece si ripetono ininterrottamente per anni con la stessa cadenza, fino ad una provvisoria occupazione (sempre più rara) o alla definitiva dipartita dei convenuti.
Noi, intendo io, Antonio Attrotto e altri due, siamo lì, sulla soglia del bar Dell’Abate a commentare le liste delle elezioni provinciali di Giugno e a cercare di decodificare una politica altrimenti illeggibile, come in effetti è per la moltitudine di elettori che vota per motivi che le sono ancora incomprensibili, dopo decenni di suffragio universale. E’ il solito caffé delle otto, chiedo scusa per la ripetizione.
Infine associo l’impianto di amplificazione al 15 maggio che è il giorno della rivolta di Tricase e della morte di cinque poveri cristi e il ferimento di altri ventidue. Però il microfono è solo, in perfetta solitudine da più di mezz’ora. La cassa acustica è più piccola di quella della mia auto, la folla non è attesa.
All’improvviso in quel piccolo spazio si vede del movimento, arriva il Sindaco Musarò con la fascia tricolore. Via Toma è chiusa al traffico per rifare il basolato, c’è silenzio assoluto. Arrivano anche gli assessori, la presidente del consiglio comunale in un perfetto tailleur nero, e alla spicciolata cinque consiglieri comunali che casualmente erano convocati per una commissione consiliare. Ci sono anche i rappresentanti delle forze dell’ordine, noi rimaniamo sul marciapiede del bar.
Piccola prova microfono e il Sindaco comincia a leggere il suo discorsetto commemorativo. Brevi parole contro l’eccidio del 1935. Nelle parole di circostanza non c’è spazio per l’addentellato con l’attualità. Eppure in questi giorni il ministro Maroni usa toni da forzuto dell’ordine pubblico, specie nei confronti di immigrati, deboli e disoccupati; il primo ministro Silvio Berlusconi fra l’altro dice che non possiamo essere una società multietnica, raccogliendo il plauso generale (tutti dimenticano che siamo geneticamente multietnici e che le migrazioni e le differenze hanno salvato la specie umana negli ultimi milioni di anni); il leghista Calderoli vagheggia un aphartied di fatto su scuola, sanità, trasporti. Nel discorsetto di circostanza non ci può essere spazio per ricordare che quelle cinque vittime non stavano lottando in piazza per un’ideologia, ma semplicemente perché si era diffusa la voce della volontà delle autorità di trasferire il Consorzio agrario. Protestavano contro il rischio di perdere il lavoro e intanto gridavano “Viva il Duce”, nell’innocente considerazione di pensare il capo sempre buono e onnipotente mentre i suoi servitori incapaci e crudeli. Bisognava forse dire nel discorso di circostanza che la dittatura, qualunque essa sia, non porta mai da nessuna parte se non verso violenza e sopraffazione. Il fine ultimo di quella commemorazione deve essere questo, perché quegli eroi per caso siano il simbolo della difficile rincorsa verso una società più giusta, consapevole della sua stessa complessità.
Ma per fortuna le parole del Sindaco hanno la durata di un volo di piccione fra Palazzo Gallone e Chiesa San Domenico. Non ci sono scolaresche a riempire la piazza, spesso chiamate a far sembrare partecipato ciò che non è, non ci sono radio e tv, non ci sono giornalisti.
Ci siamo noi, sul marciapiede del bar, insieme alle autorità e alla giunta che tutte insieme fan dieci persone. Dopo un minuto tutti a offrire un caffé, con una pacca sulle spalle, mentre il titolare del service smonta il microfono e lo mette sul sedile della sua alfa romeo, Gigi lo guarda perplesso e i disoccupati delle sedie bianche sembrano indifferenti.
Il Volantino - Maggio 2009
Alfredo De Giuseppe