2017-02-18 "Le foibe e uno strisciante revisionismo" - Il Volantino
Ercole Morciano ha pubblicato e presentato il 10 febbraio 2017, Giornata del Ricordo, presso la sala del Trono di Tricase il libro “Due tricasini nelle terre delle foibe – 1943-1945”, Edizioni Grifo con prefazione di Hervé A. Cavallera. In definitiva una ricerca storica su due cittadini morti vicino a Gorizia durante le complesse vicende del conteso territorio fra Italia e Croazia. Un’operazione storica, lo dico subito, che va nel solco di quel revisionismo strisciante che caratterizza questi ultimi decenni. Un revisionismo che certamente va al di là delle intenzioni dell’autore (di cui riconosco il largo profilo democratico e civile) che cerca di mantenere un certo distacco dagli eventi narrati, ma proprio per questo rischia di essere un veicolo di forti distorsioni storiche. Nessuno mette in discussione la terribile tragedia delle esecuzioni sommarie e del successivo infoibamento di tante persone uccise dopo la fine della seconda guerra mondiale, ma operazioni culturali come quella dell’amico Ercolino rischiano di essere vissute come una specie di giusto risarcimento da fascisti mai pentiti e soprattutto come “una storia qualunque” da giovani poco adusi alla lettura della storia del Novecento. Se infatti questo lavoro capitasse nelle mani di un giovane studente potrebbe sembrare il racconto, quasi eroico, di due signori, già maturi, che decidono di abbracciare i fucili e morire per la patria. Due signori descritti nei loro affetti familiari, nel loro credo religioso, ma di cui pochissimo si dice in merito alle loro azioni militari e politiche, sia nel Salento che nella Venezia Giulia. Due signori, uno, Salomone Morciano di 38 anni e l’altro, Giuseppe Caloro di 54 anni che decidono di correre in soccorso della nascente Repubblica di Salò, formalmente di Mussolini, ma sotto il diretto controllo dei tedeschi. Tanto ferma era la loro fede nel fascismo, che anche di fronte alla più vergognose verità che ormai erano emerse dopo l’8 settembre, non esitarono a mettere a repentaglio la loro vita e quella dei loro famigliari pur di mostrarsi coerenti nella lotta politica. Due storie diverse intanto: Salomone Morciano muore in un normale attacco dei partigiani slavi nel 1943 senza alcun collegamento con le foibe e questa sinceramente è sembrata già una prima forzatura che evidenzia l’attuale necessità di usare le foibe come mezzo di pietas generalizzato, come lavacro di tutti i mali commessi dal fascismo nelle terre di conquista. Giuseppe Caloro invece è un comandante a tutti gli effetti, visto dai vincitori del tempo come uno dei responsabili di abusi ed eccidi verso i cittadini sloveni, da noi definiti ribelli, ma che in realtà stavano combattendo una guerra di liberazione. Un uomo che ha scalato i gradini del potere fascista, anche a Tricase, dove è stato podestà e ha gestito con grosse lacune i tormentati mesi del dopo sommossa popolare del 1935 che procurò morti, feriti e centinaia di arresti. Vi è da notare che al momento dell’arresto di Caloro, nulla fu intentato contro la sua famiglia, non vi fu nessuna rappresaglia generalizzata, ma probabilmente una sorte di processo sommario riservato ai capi fascisti e ai loro collaboratori. Probabilmente Ercole Morciano si è lasciato prendere la mano dall’affetto parentale o dalla pura ricerca documentale ma quando si trattano temi come questi non si può riportare il tutto alla semplice pietas personale, non si può basare tutto sui normali, direi scontati, affetti familiari e sulle credenze religiose (più o meno dotte), sulla corrispondenza con vescovi, spesso a loro volta compromessi con il regime, per ricostruire con oggettiva sintesi il momento storico dell’Italia negli anni che vanno dal 1943 al 1945. Il rischio è quello di banalizzare e quindi di rendere tutto molto scivoloso, quasi che la crudeltà del tempo non fosse un fatto acclarato, come se queste persone fossero delle vittime inconsapevoli delle guerre. No, questi nostri compaesani, così come altre migliaia, decisero volontariamente di seguire il Duce, il dittatore, l’uomo forte che aveva già portato l’esercito alla disfatta di Russia, e che aveva dimostrato le sue baracconate inutili e violente nella guerra d’Africa, dove aveva seminato morte e forse anche una certa dose di ridicolo. Altre migliaia di soldati italiani rifiutarono invece di seguire le sorti di Mussolini e Hitler, alcuni furono immediatamente uccisi, altri deportati, ma una volta capito in quale pasticcio li aveva cacciati il regime, decisero di non tornare più indietro e di stare dalla parte della liberazione dei popoli e non della loro dichiarata oppressione. Non vorrei dilungarmi su questioni che meriterebbero ben altri approfondimenti e proprio per questo propongo un esempio per riassumere il pensiero: cosa diremmo noi se si pubblicasse analogo libretto di un componente delle SS o di un carnefice dei campi di concentramento? Anche loro probabilmente avevano una famiglia a cui volevano un gran bene, anche loro agognavano la fine della guerra, anche loro pensavano di servire al meglio il loro Stato, di difendere il prestigio della loro Nazione e la vera fede. Per noi questo sarebbe inaccettabile perché il giudizio storico è complessivo sul Nazismo, sui genocidi, sulle SS e sulle esecuzioni di massa, non possiamo soffermarci asetticamente sulla loro storia personale: potrebbe sembrare come un indiretto avallo di una filosofa devastante. Proprio oggi, che a distanza di oltre settant’anni da quelle vicende, stanno rinascendo in Europa dei forti nazionalismi, delle tendenze protezionistiche, delle idee xenofobe, il rifiuto dell’altro, la chiusura delle frontiere a rifugiati e perseguitati, bisogna porre attenzione ad ogni piccolo particolare che, partendo dal revisionismo strisciante, diventi di nuovo cultura di massa, addirittura leggi condivise dello Stato. Un’ultima annotazione che mi sorge spontanea osservando alcune foto del libro di Morciano: nel 1968 i resti di Salomone Morciano, avvolti nel tricolore, alla presenza di tutte le autorità civili, militari e religiose vennero riportati in Tricase con una grande cerimonia pubblica. Mi vien da pensare che a quell’epoca nessuno tirò fuori la sua obbedienza alle camicie nere della Repubblica di Salò, probabilmente il tutto fu gestito come il ritorno a casa delle spoglie mortali di un tricasino morto in guerra. Punto. Per assurdo penso che quella gestione, tipica di quegli anni, fosse più accorta, più indolore e meno pericolosa della ricostruzione attuale. Un deceduto in guerra, un padre di famiglia merita tutta la nostra commozione mentre la vicenda basata quasi tutta sulle cartoline spedite ai familiari di un volontario delle milizie fasciste, a cui molti in Italia vogliono dare oggi pari valore di chi scelse di morire per la libertà, sembra una forzatura che si presta a nuovi pericolosi tentativi di supremazie di vario tipo. Mi auguro che nella seconda edizione Ercole Morciano sappia trovare la giusta sintesi, forse qualche avverbio in più, per riportare le vicende personali nel più grande alveo della tragedia sempre incombente delle guerre nazionaliste e dittatoriali.
Il Volantino - 18 febbraio 2017
Alfredo De Giuseppe
La risposta di Ercole Morciano:
"Solo fatti e nessun revisionismo"
di Ercole MorcianoMi dispiace che il mio libro Due tricasini nelle terre delle foibe (1943-1945) abbia potuto provocare una serie di accuse tanto gravi quanto non dimostrate. Inizialmente non volevo intervenire, ma poi ho deciso di farlo soprattutto per chi non ha letto il libro, e rischia di essere fuorviato ingiustamente, e per un sentimento di pietas verso le persone coinvolte. Tralascio il tono apodittico del mio recensore, ovvero di possessore delle verità -neanche il Papa lo usa più- ma è significativo evidenziarlo per comprendere l’approccio dato alle sue affermazioni. L’accusa più ingiusta riguarda il presunto revisionismo da cui il libro sarebbe infettato; e non è vero: a p.15 io stesso scrivo che non c’è alcuna «volontà di fare revisionismo». Chi ha letto il libro sa che in nessun passaggio, in nessuna pagina, in nessuna forma, vi è adombrato un anche minimo giudizio positivo sul fascismo, compresa la Repubblica Sociale Italiana, tale da ribaltare quello negativo assegnatogli dalla storia. Veramente subdolo è l’aggettivo strisciante, perché presumerebbe da parte mia una sorta d’imbroglio voluto: il mio libro non è un testo ideologico, né un libro di storia, vuole essere il racconto della vicenda di due persone, che combattevano sì dalla parte sbagliata, ma erano due tricasini che stavano da quella parte come tanti altri italiani, né eroi, né vigliacchi e come tanti altri italiani sono morti. Pertanto non c’è niente di strisciante. Le storie sono infatti documentate (altro che lasciato prendere la mano da affetti parentali); i documenti sono allegati o vi sono le note di rimando per chi volesse consultarli. Forse, da alcuni ideologi, il libro sarebbe stato più accetto se i due tricasini, camicie nere, fossero risultati criminali di guerra, stupratori, aguzzini, ecc. ma io non potevo scriverlo, perché non c’è alcun documento o prova o che costituisca in tale direzione. In termini generali ho scritto a p.24 sulla repressione degli occupanti nei territori slavi -e fu dura- ma ciò in ogni caso non giustifica la barbarie delle foibe e della pulizia etnica. Paragonare pertanto Caloro e Morciano a un componente delle SS o a un carnefice dei campi di concentramento è veramente aberrante oltre che ingiusto nei loro confronti. Sulla pietas. Sono stato accusato di aver strumentalizzato le foibe per suscitarla: e non è vero. Già in IV di copertina, quindi leggibile dal potenziale lettore quando prende in mano il libro, c’è scritto che Morciano morì in combattimento (e all’interno viene precisato: mentre era di scorta a un autoveicolo dei vigili del fuoco che trasportava a Trieste le salme di otto italiani infoibati a Comeno) mentre Caloro, a guerra finita, fu prima imprigionato dai partigiani di Tito e poi infoibato. Chi ha letto il mio libro sa che sulla criticata pietas (sentimento dell’anima, per me senza aggettivi) a p.15 ho riportato obiettivamente anche la posizione di quelli che riconoscono la pietas religiosa a tutti, mentre negano la pietas civile a coloro che morirono combattendo dalla parte sbagliata. Per quanto riguardale ragioni per cui i due tricasini scelsero di combattere dalla parte della Repubblica di Salò, con Mussolini, ho cercato nel libro di analizzarle, ma non c’è una pur minima condivisione o giustificazione di sorta; e chi ha letto il libro lo sa benissimo; basta andare a p.48 per Marciano e alle pp.81-82 per Caloro. Un’ultima considerazione. Alfredo De Giuseppe si preoccupa che giovani poco adusi alla lettura della storia del Novecento, leggendo il mio libro, possano diventare filofascisti. Io invece non ho questa paura; ho fiducia nella capacità critica dei giovani e pertanto li invito a leggerlo, andando oltre i preconcetti ideologici e i dogmi non-scritti di un’interpretazione storiografica che ha fatto studiare per decenni gli studenti su manuali di storia nei quali le foibe non venivano neanche menzionate, e a conoscere le storie di due tricasini, né eroi né vili, in un difficile momento storico per loro e per l’Italia. Concludo promettendo che su questo argomento non tornerò più, perché non mi piace polemizzare sulla stampa o su altri media.
il Volantino - 25 Febbraio 2017
Ercole Morciano
e la Risposta di Pati Luceri a Ercolino:
Risposta a Ercole Morciano
Non tratterò dell’amore ed affetto che MORCIANO Salomone e CALORO Giuseppe hanno nutrito verso i propri cari. Affetto – a mio avviso, sincero, ENCOMIABILE, così come penso, Lo sia stato altrettanto quello di TUTTI i 3 milioni di richiamati in guerra. Né tratterò del loro attaccamento alla religione e del ruolo da essa avuta sul confine nord orientale.
Non posso però tralasciare di ricordare che in Croazia, oltre un milione di Serbi, furono massacrati nel corso della Seconda Guerra mondiale dal1941 al 1945, dagli Ustascia di Ante Pavelic, armato ed addestrato da Mussolini nei campi di Bovegno, Siena, Borgo Val di Taro e Bardi sugli Appennini di Parma nonché a Riva del Garda. E che in quel contesto vennero distrutte 292 chiese ortodosse e centinaia di religiosi ortodossi uccisi insieme a cinque vescovi e tutti i loro beni vennero incamerati dalla Chiesa cattolica.
Né sorvolerò sul fatto che moltissimi uomini di Chiesa (specialmente preti e religiosi francescani) furono i protagonisti di quei crimini, come il padre francescano Miroslav Filipovic Majstorovic, poi soprannominato “frate Satana” che con una mannaia, da solo, in dieci ore, il 7 febbraio 1942, quale comandante del Campo di prigionia di Jasenovac, aveva ucciso - (se ne vantò durante il processo che aveva subito in Iugoslavia) – 2750 serbi fra cui 250 bambini”.
Lo stesso Pavelić, poco prima della fine del conflitto, “si rifugiò in un monastero in Austria spacciandosi per un monsignore, quindi ottenne asilo politico in Argentina dopo aver fatto tappa a Roma.”
Tratterò, ora, dell’“amor di PATRIA” dei nostri due: Salomone MORCIANO e Giuseppe CALORO ma… prima sento il dovere di parlare e RICORDARE altre vittime, aprendo ARMADI volutamente SEGRETI.
L'occupazione fascista in Jugoslavia, specialmente nelle province del Litorale e dell'Istria impose già dagli anni '20 la cultura e la lingua italiana, chiudendo le scuole slovene e croate, distruggendo 400 sedi e associazioni culturali, escludendo dagli impieghi pubblici gli slavi e sequestrando migliaia di terreni ricoli, affidandoli agli italiani.
Tra il 1940 e il 1945 ci furono 45.000 morti tra sloveni e croati e italiani antifascisti, di cui molti gettati nelle foibe, 95.460 arrestati ed internati nei campi di concentramento che furono 113 in Italia, 15 in Jugoslavia e diversi ancora in altri territori occupati. Solo in Slovenia ci furono 13.606 morti nei lager mentre altri 7 mila, morirono nei 200 campi di concentramento sparsi in Italia.
- I 150 mila deportati nei campi di sterminio di Arbe, Palmanova, Gonars, Renicci.
- Le vittime del campo di concentramento fascista di Zlatin.
- La risiera di san Sabba, lager nazista di Trieste, dove furono deportate 20 mila persone e massacrati 5 mila fra oppositori politici, ebrei e rom.
Si, è vero! Nel Libro del Signor MORCIANO si legge che non c’è alcuna «volontà di fare del revisionismo storico ad ogni costo (p. 15).
Ma quando si parla dei comunisti iugoslavi che ”decisero di de-italianizzare la Venezia Giulia uccidendo gli italiani ivi residenti…” (Prefazione di Hervè A. Cavallera, p. 7); quando si parla che “il fascismo sviluppò…una politica di nazionalizzazione, ossia quella che oggi diremmo di educazione civica (idem, p. 8)”; allora sì che si DEMISTIFICANO i FATTI e si fa del REVISIONISMO se non si dice che il fascismo si presentò nel Nord Est con un preciso programma di SNAZIONALIZZAZIONE nei confronti dei 500 mila SLOVENI e CROATI che il Trattato di Rapallo aveva destinato a vivere dentro i confini dello stato italiano. “Educazione Civica” si afferma, che, però PURTROPPO per gli abitanti dell’ex Jugoslavia, ha questo significato. “Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. […] I confini dell’Italia devono essere il Brennero, il Nevoso e le Dinariche: io credo che si possano sacrificare 500.000 slavi barbari a 50.000 italiani. (Benito Mussolini, Discorso tenuto a Pola il 24 settembre 1920)”. “Si proibisce nel modo più assoluto che nei ritrovi pubblici e per le strade di Dignano si canti o si parli in lingua slava” (P.N.F. – Comando Squadristi – Dignano). “Si ammazza troppo poco…Sgombero totalitario, dove passate levatevi dai piedi tutta la gente che può spararci alla schiena…Distruggere i paesi e sgombrare le popolazioni. (Direttive dei Generali Robotti e Roatta.)”.
“…Sembra incredibile, ma è pur vero: questi straccioni di Slavi – da noi tanto beneficati – stanno dimostrando la loro gratitudine a colpi di moschetto e di mitragliatrici! Noi siam qui venuti per farli cambiare idee. E gliele faremo cambiare ad ogni costo! (Giuseppe CALORO, p. 122)”.
L’obbligo per gli abitanti sloveni e croati all’italianizzazione dei cognomi e della toponomastica.
SI DEMISTIFICA la STORIA se, a proposito di Salomone Morciano, si afferma che "quando smette di indossare la camicia nera in seguito alla caduta del fascismo”, permane “nell’esercito” e che la sua adesione alla guerra patriottica è indiscussa al di là dei cambi di vertice e del sistema”, (idem, p. 9). Pazienza che, poi, non si afferma che si era arruolato VOLONTARIAMENTE e non al servizio della RSI ma dei TEDESCHI. Che, di fatto, tenevano occupato tutto il litorale Adriatico avendolo incorporato nel 3° Reich.
E lo stesso vale per il Signor CALORO Giuseppe, a proposito del quale, addirittura, si sottolinea che suo imperativo era “SERVIRE LA PATRIA CON ONORE”, (pag. 81). Ma, mi scusi Signor MORCIANO, di quale PATRIA parla? A quale PATRIA si riferisce?
A quella di cui, senza chiarire assolutamente il ruolo accenna nelle pagine 25 ed 82 del suo libro? Quando afferma che “la provincia di Fiume e Lubiana ed il governo della Dalmazia sono dichiarate zona di operazioni” e che precisa “istituita dai tedeschi (nota 27, p. 25)”.
Sarebbe bastato andare su Wikipedia per rendere più chiara la funzione dell’OZAK (acronimo di Operationszone Adriatisches Küstenland = Zona d'operazioni del Litorale adriatico) nonché il ruolo delle 5 province del Nord Est: Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, incluse all’interno del 3° Reich, nonché quello delle FORZE italiane presenti animate da “amor di patria”.
L’ OZAK fu sottoposta alla diretta amministrazione militare tedesca e quindi di fatto sottratta al controllo della Repubblica Sociale Italiana. Fu istituita fin dal 10 settembre 1943, con a capo il Gauleiter della Carinzia Friedrich Rainer. Così dicevano i comandi tedeschi: «A tutti gli ufficiali, sottufficiali e soldati italiani verrà chiesto se vogliono combattere con l’esercito tedesco contro i partigiani. Coloro che non vogliono obbligarsi saranno internati e condotti fuori Trieste». Lo storico Galliano Fogar così spiega: «... la Milizia Difesa Territoriale - di cui fanno parte 5 reggimenti della Guardia Nazionale Repubblicana oltre alle formazioni collaborazioniste slovene - opera alle dipendenze delle S.S. (...), conservando un simulacro di autonomia interna in fatto di gerarchie, disciplina, promozioni, (...) altri reparti nascono e vivono completamente nell’ambito delle S.S. (...). Ciò vale ad esempio per i 6 battaglioni italiani di polizia…”. Reparti italiani operativamente dipendenti dal Comando SS e della Polizia dell'OZAK con a capo l’ufficiale delle SS Odilo Lothar Ludwig Globocnik.
Si DEMISTIFICA la STORIA quando, a proposito delle forze ribelli jugoslave, si scrive che, pur tra loro avversarie, erano “unite nell’obiettivo comune di togliere quella regione all’Italia e annetterla alla Jugoslavia, dopo averla “ripulita” dagli italiani (p. 29); quando - a proposito del progetto di Tito, si afferma che era quello di “annettere alla futura Jugoslavia tutti i territori che riuscirà a sottrarre all’Italia fascista” e che per poter realizzare ciò “è necessario liberare dagli italiani” quelle regioni con ogni mezzo. Pazienza per tutti gli Jugoslavi che erano stati fucilati - (e rimando al Diario del cappellano militare Don Pietro Brignoli: “Santa Messa per i miei fucilati”); pazienza per tutti i deportati Jugoslavi nei campi di concentramento in Italia); pazienza per il fatto che 138 CRIMINALI di GUERRA italiani, richiesti dal Governo di Belgrado non siano MAI stati processati); pazienza per quanti italiani - anche salentini - hanno CONTINUATO a vivere VOLONTARIAMENTE, in Slovenia, Croazia, Serbia.
SI DEMISTIFICA LA STORIA e si fa del REVISIONISMO STORICO quando si scrive di 198 pugliesi vittime della “pulizia etnica e dell’odio ideologico” (pag. 89) così come continuano a fare TUTTI i mass media pugliesi, a partire dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 10 febbraio 2014.
198 PUGLIESI che si vuole vittime “della pulizia etnica e dell’odio ideologico”.
Pazienza che di odio ideologico e pulizia etnica CHI veramente sia tato vittima è il popolo jugoslavo.
Pazienza che dei 61 LECCESI (INFOIBATI così come riportato in continuazione dai mass media”, ben TRENTASEI sono da ESCLUDERE perché deceduti in combattimento, perché caduti addirittura su altri fronti, perché RIMPATRIATI. Sì RIMPATRIATI come Ciaccia Michele, (nell’Elenco della GdM, appare come GIACCA), di Castrignano del Capo, deceduto a Brindisi nel 2008; come CITTI Giovanni di Lecce, arruolato nel 7° Reparto mobile di PS di Senigallia (AN), il 28 ottobre 1951.
E potrei continuare ma… per il momento, mi fermo qui.
Martano, Febbraio 2017
Prof. Pati Luceri