2021-12 "Giorgio Strehler, il fanciullo di Trieste (?)" - 39° Parallelo
Approfondita biografia di Cristina Battocletti a cent’anni dalla nascita del grande regista teatrale
Cristina Battocletti, nata nel 1972 a Udine, critica cinematografica, vice responsabile della “Domenica” del “Sole 24 Ore”, ha deciso di dedicare questo 2021 al centenario del suo conterraneo Giorgio Strehler, che era nato a Trieste nel 1921. In realtà conterraneo è un sostantivo complesso da appiccicare al più grande regista teatrale del Novecento, perché era nativo della “piccola Vienna sul mare”, città da pochi mesi ridiventata italiana, ma sua madre era slovena, il padre tedesco, nonni franco balcanici, parlava quattro lingue, ha vissuto quasi sempre a Milano, si è trasferito in Svizzera ed è morto a Lugano nel 1997.
La Battocletti nel suo “Giorgio Strehler. Il ragazzo di Trieste. Vita, morte e miracoli” (La Nave di Teseo Editore spa - 448 pagine - € 20,00) approfondisce con dovizia di particolari e di testimonianze la vita di Strehler, fin dall’infanzia che finora non era stata mai esplorata fino in fondo e che invece risulta fondamentale nella sua visione artistica e sociale. Infatti è la mamma la chiave di lettura per intuire il genio, ma anche la sua complessa figura piscologica. Il padre muore a soli ventotto anni, di tifo fulminante, durante un viaggio a Vienna. Giorgio ha solo tre anni, si aggrappa alla mamma Albertina che suona il violino: il piccolo ascolta le prove, assorbe fin da subito “la funzione salvifica dell’arte”, la madre parte in tournée per lunghe settimane e lui rimane con i nonni che gli insegnano il pianoforte. Un’infanzia d’amore per la madre, vista come una divinità, che non lo abbandonerà mai, divenendo in definitiva l’unica donna stabile della sua vita.
L’autrice non si lancia quasi mai in analisi psicoterapeute, ma non fa sconti al grande artista, quando parla di Strehler uomo, delle sue ossessioni, dei suoi scatti d’ira, dei suoi improvvisi tradimenti, delle giravolte con gli artisti e i soci, delle manie portate fino al parossismo, le sue donne amate alla follia e poi mollate senza una spiegazione. Non lo nasconde ma cerca di bilanciare i suoi eccessi, anche da conclamato cocainomane, concentrandosi sulle sue intuizioni, il genio della lampada del teatro, gli incontri cercati e quelli fortuiti, anche se a volte pare di vedere più un eterno fanciullino che un ragazzo in via di crescita.
Certamente l’incontro più importante per Strehler è stato quello in gioventù con Paolo Grassi, che rinunciò in parte al suo estro artistico per mettersi al servizio dell’amico, uno da tenere a bada, che arrivava sempre in ritardo, che non sapeva cosa fosse un conto economico, che si eclissava per lunghi periodi, magari nell’approssimarsi della prima.
Ci sono tanti risvolti, umani e artistici, da leggere con attenzione, specie per gli amanti di teatro e per chi trae ispirazione dai grandi maestri, ma una sottolineatura a parte merita l’aspetto socio-politico del duo Strehler-Grassi. Un aspetto che è il paradigma storico dell’Italia del secondo dopoguerra. I due, subito dopo la fine della guerra, appena rientrati dalle lotte partigiane, hanno l’intuizione di un teatro pubblico, d’impegno civile, che già nel 1947 vede la luce in via Rovello numero 2. Trovano una Milano da ricostruire e una classe politica disponibile a percorrere la strada dell’arte di tutti, del contributo pubblico, per provare a far ripartire quella dialettica sociologica che la propaganda fascista aveva disperso. Ed ecco l’incontro con Brecht, che infine gli riserva l’esclusiva delle sue pièce teatrali, di quel socialismo della libera circolazione di idee, di quel comunismo libertario che era indispensabile per compensare il bigottismo democristiano. Scrive Battocletti: “Insieme, Grassi e Strehler propongono un teatro studiato con strumenti culturali profondi, colto e raffinato, ma leggibile dal grande pubblico, radicato nella città, propulsore di cultura, che ha ben chiara la missione civile”. Poi la vicenda si dipana fino ai primi anni ’90, i grandi appalti che non finiscono mai, i soldi mangiati, le inchieste, gli arresti, i commissariamenti, le dimissioni, e le controdimissioni, l’Italia malata di potere, corruzione e individualismo.
Cristina Battocletti, da buona giornalista qual è, non esprime giudizi netti, lascia al lettore il gusto della scoperta. Il libro è ben documentato e ben scritto, un’opera importante che, ne sono certo, risulterà importante nei prossimi anni per chi vorrà capire meglio il “fenomeno Strehler”. Il suo lavoro, si nota, è stato puntiglioso e rigoroso, ma forse ha qualche ripetizione di troppo, probabilmente per la scelta non solo cronologica di raccontare la vita e le opere del Maestro. Solo nelle ultime pagine l’autrice, che frequenta di tanto in tanto anche il Salento (la nuova Portofino) e, come Strehler, da friulana, vive a Milano, si lascia andare ad una specie di “prologo semiserio” in prima persona che, io da dilettante artigiano, avrei davvero usato come prologo, perché bello, necrofilo e fantasioso come sarebbe piaciuto ad un grande regista del Novecento.
39°Parallelo, dicembre 2021
Alfredo De Giuseppe