2022-01-30 "Addio al celibato, una risposta ad abusi e rimozioni"

  

I casi accertati di pedofilia perpetrati da prelati cattolici su dei minori sono stati spesso derubricati ad episodi isolati, a perversioni personali, a deviazioni secondarie rispetto ad una pastorale che recita rettitudine, purezza, verginità, un amore quasi asessuato. Tutto questo aveva un minimo di senso fino al recente rapporto sulla pedofilia nella Chiesa Cattolica in Germania, commissionato dall’arcidiocesi di Monaco e reso pubblico lo scorso 20 gennaio 2022 da Westpfahl Spilker, uno studio legale tedesco. Ora non più: nel rapporto si legge che tra il 1945 e il 2019 almeno 500 persone avrebbero subito danni nell’ambito di abusi pedofili nell’arcidiocesi di Monaco. La maggior parte di queste persone sarebbero per lo più giovani vittime di sesso maschile: per l’esattezza sei su dieci sarebbero ragazzi di età compresa tra gli 8 e i 14 anni. Coinvolti come presunti artefici degli abusi almeno 173 preti, 9 diaconi, 5 referenti pastorali e 48 persone provenienti dal mondo scolastico.

Questo solo ciò che si è potuto appurare con certezza documentale, ma si immagina che il fenomeno sia stato di gran lunga più vasto. Se si moltiplicasse questo numero di persone coinvolte (certamente inferiore alla realtà) per il numero di diocesi tedesche si arriverebbe nella sola Germania a numeri stupefacenti. Una storia di abusi, ma anche di omertà e insabbiamenti. Il rapporto sottolinea come anche Joseph Ratzinger si sarebbe sottratto alla sua responsabilità di denunciare e verificare i misfatti di un suo sottoposto.  Nel corso dei cinque anni in cui Ratzinger era a Monaco due religiosi che prestavano assistenza spirituale ai giovani avrebbero commesso degli abusi sessuali e nessuno avrebbe preso provvedimenti nei loro confronti. Secondo i relatori del rapporto il futuro Papa Benedetto XVI non avrebbe mostrato “alcun interesse riconoscibile” nell’agire contro i responsabili degli abusi. In particolare, nel 1980 l’attuale Papa emerito non avrebbe preso provvedimenti nei confronti di Peter Hullermann, un prete, già accusato di pedofilia, che proprio in quell’anno venne spostato dalla diocesi di Essen a quella di Monaco. Azioni che poi, sempre secondo lo studio legale tedesco, il prete avrebbe continuato a commettere nella parrocchia che gli fu assegnata. Ratzinger, in un primo momento, si sarebbe quindi difeso dichiarando che lui non era presente alla riunione in cui venne deciso il trasferimento. (Poteva anche dire più realisticamente: non era in uso denunciare nessuno).

Naturalmente i media italiani hanno dato un rilievo minimo a questa notizia mentre i giornali tedeschi hanno aperto un dibattito molto interessante sulle questioni di fondo che un tale rapporto solleva. Innanzitutto intorno al celibato dei sacerdoti. Da dove nasce l’obbligo ai sacerdoti di un culto religioso di non sposarsi? Dalla Bibbia? No. Nell’Antico Testamento il matrimonio dei sacerdoti non solo era consentito, ma era obbligatorio. Il Nuovo Testamento, invece, non lo proibisce ma lo suppone. Nel vangelo di Matteo Gesù dice: «Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca». Nella lettera a Tito, invece, san Paolo sostiene che il candidato al sacerdozio deve essere «sposato una sola volta, con figli credenti e che non possano essere accusati di dissolutezza o siano insubordinati». La continenza era un consiglio, non un precetto. Ergo la rinuncia al matrimonio era solo raccomandata, non imposta. Bisogna arrivare al 1139, cioè al Concilio Lateranense II, per vedere la Chiesa cattolica stabilire l’obbligo del celibato sacerdotale. Una scelta dovuta a ragioni di disciplina e di moralizzazione dei costumi, alla salvezza dei beni terreni della Chiesa, più che a ragioni teologiche: con questa misura si volevano infatti eliminare due abusi legati al sacerdozio, la compravendita di uffici e beni ecclesiastici a fini di lucro e il nicolaismo (più che il matrimonio del clero, la sua forma degenerante, l’adulterio).

Del resto, al contrario di quanto si possa pensare, l’obbligo del celibato sacerdotale non è assoluto. Oltre alla normalità del matrimonio fra i protestanti, i preti cattolici di rito orientale (greco-bizantino e siriaco) possono sposarsi prima di diventare sacerdoti. Le Chiese cattoliche di rito orientale (sono 21 in tutto) vivono la stessa fede della Chiesa Romana, ma conservano l’autonomia nella disciplina e nella consuetudine liturgica. Anche il matrimonio dei sacerdoti anglicani sposati che sono ritornati nella Chiesa cattolica rimane valido.

Molti teologi hanno recentemente sollevato la questione del celibato in quanto portatore in sé, secondo studi riservati di noti psicoterapeuti tedeschi (anche cattolici), di comportamenti compulsivi riguardo al sesso di una rilevante percentuale di sacerdoti. Tali comportamenti sono più evidenti in coloro che hanno frequentato fin da ragazzi le scuole presso seminari vescovili. Dove evidentemente le ragioni dell’obbedienza facevano da sottofondo ad abusi e violenze fisiche e psicologiche.  

Non tutti i comportamenti deviati e violenti si risolverebbero con il matrimonio dei sacerdoti, ma certamente rientrerebbero più facilmente nella casistica globale, senza quindi rimanere atterriti da continui scandali all’interno di una nicchia di persone molto limitata. Se si considera che queste persone sono chiamate spesso a parlare di sesso, di etica, di tolleranza e di amore verso il prossimo, possiamo intuire quanto profonda sia la necessità di riformare l’istituto del celibato obbligatorio. In effetti l’ossessione contro il sesso della nostra civiltà è alquanto sconcertante, malata e forse deviata da un intrinseco, costante bisogno di negare l’evidenza: la bellezza di vivere una sessualità completa, felice, disarmante nella sua semplicità, purché condivisa, mai imposta, mai serva e schiava. Da questi presupposti nasce inoltre il perfetto maschilismo della Chiesa, la misoginia di cui è pervasa finora la storia dell’umanità. Scrive Giuliana Sgrena nel suo Dio odia le donne: “Quando si tratta di discriminare la donna, le principali religioni monoteiste sono tutte d'accordo. Ogni donna sarà etichettata come figlia di Eva: la donna è l'origine del peccato, la tentatrice che seduce e porta alla perdizione. E allora la religione, alibi del patriarcato, serve per opprimere e sconfiggere, secolo dopo secolo, millennio dopo millennio; e allora serve un dio maschio, un figlio di dio maschio, un profeta maschio, e soprattutto sacerdoti maschi. Norme, tradizioni e costumi hanno l'unico scopo di perpetuare il controllo sociale sulla donna, spesso grazie alla sua pia connivenza, ancora più spesso attraverso l'assuefazione alla violenza”.

Mi è capitato spesso in questi anni di commentare notizie come questa del report legale di Monaco. Le risposte che ho ricevuto sono state quasi sempre le stesse, come di un attacco gratuito e qualunquista alla Chiesa cattolica, che pure alcuni meriti avrebbe avuto nella storia degli ultimi millenni. Invece a muovermi è semplicemente un senso di pietà nei confronti delle vittime, di quelle persone che in silenzio e impotenti hanno subito ricatti psicologici e violenze fisiche. E vittime in questo caso sono anche i carnefici, sacrificati negli anni sul tempio del negazionismo sessuale, ad una pratica contronatura. Niente di più, se non fosse che a sembrare indifferenti sono proprio i custodi della nostra etica, di coloro pare debbano ogni giorno decidere della nostra vita e della nostra morte. Questa discussione non sembra attecchire in Italia e in Vaticano, forse per un malinteso senso dell’immutabilità dell’organizzazione ecclesiastica. Eppure il tema non rappresenta un quesito solo interno alla Chiesa ma tocca la nostra antropologia, la nostra socialità e in cascata tutte le nostre maggiori istituzioni, dalla scuola al parlamento fino ad arrivare alla Messa cantata. Amen.

30 Gennaio 2022

Alfredo De Giuseppe

 

 

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