2022-10 "Non un Partito da ricostruire, ma l’Italia da fare" - 39° Parallelo
Il voto del 25 settembre potrebbe finalmente cambiare volto al partito progressista-ambientalista che aspettiamo da anni
La Destra è tornata. Anzi non è mai andata via. L’Italia non ha mai smesso di essere un Paese di destra, un sentimento appena mitigato da una corazza atlantica che impediva di far tornare un regime semi-dittatoriale. Qualcuno tentò con un colpo di stato, come Junio Valerio Borghese nel 1970, altri con le bombe dal 1969 al 1993 e altri fondando un partito para aziendale e para mafioso. Ora invece quella maggioranza italiana, forse marchiata nel DNA dei fasti degli imperatori romani, è riuscita a far tornare i nipotini del Dux al potere con delle libere e democratiche elezioni. Oggi, dopo le elezioni politiche del 25 settembre 2022, con la vittoria di Giorgia Meloni, questa verità storica viene sublimata e accettata e infine portata sull’altare della politica, nell’adorazione delle operose genti italiche, alle viste di tutti gli altri popoli.
Vedremo nelle prossime settimane come la Giorgia Tricolore darà sostanza alle sue idee attraverso la composizione della squadra di governo. E vedremo soprattutto come riuscirà a far coincidere la sua storia personale, le sue ostentate, certificate dichiarazioni di questi ultimi anni, con la gestione dell’ordinaria amministrazione, della molteplicità quasi liquida di una società comunque evoluta, della congiuntura nazionale e internazionale. Vedremo anche a breve come riuscirà a porsi di fronte alla guerriglia dei suoi stessi umiliati alleati, con un Salvini che scalpita e un Berlusconi che vorrà capire dove trovare la sua convenienza.
Intanto la parte avversa, chiamiamola per comodità centro sinistra, si lecca le ferite, si fa domande e non sempre riesce a darsi risposte coerenti. Sono tutti concordi nel dire, ad esempio, che il PD ha perso il contatto con le fasce più deboli della popolazione, che il suo elettorato di riferimento è ormai un mix di governismo asettico e difesa di posizionamenti ben consolidati (siano essi diretti o indiretti). Quanto sia vero o falso non ha importanza in questa fase: certo la percezione degli elettori pare da anni ben consolidata. Come sia potuto succedere nel breve volgersi di una sola generazione? A nessuno degli attori principali pare interessare l’approfondimento della questione e si limitano ad analisi superficiali basate su ipotesi di basso tatticismo elettorale. A cominciare dal segretario nazionale, Enrico Letta che, nelle prime ore, pur dimettendosi, ha commentato la sconfitta come il tradimento di altri soggetti politici. Come se non conoscesse la legge elettorale, votata dal suo stesso partito, su indicazioni di un accordo Berlusconi-Renzi-Verdini. A seguire e venendo al Sud, il nostro governatore Michele Emiliano ha pronunciato in sintesi il seguente concetto: se il PD nazionale avesse seguito il modello Puglia non avrebbe perso. Stefano Minerva, presidente della Provincia di Lecce ha detto: il modello applicato nel Salento non è andato poi così male. Il segretario provinciale del PD, Ippazio Antonio Morciano ha scritto di suo pugno: “É stata, per me, una campagna elettorale appassionata, breve ma intensa. Una campagna elettorale in cui troppo spesso i cittadini lamentavano il distacco della POLITICA dai territori. Il centro sinistra perde per la sua miopia, perde perché ha dimenticato la pratica dell'ascolto, perde perché non ha tutelato le solitudini che sono state, invece, intercettate e sfruttate dalla destra”. Poi è intervenuto, a stretto giro di posta, uno dei pochi eletti del partito, il segretario regionale Avv. On. Marco Lacarra, che in un’intervista al Quotidiano ha mosso gravi accuse ai suoi stessi circoli ed iscritti: “C’è tanta gente che ci vorrebbe, ma non ama i “circoli” chiusi. I dirigenti locali non si rendono conto che devono avere una mentalità aperta, perché noi non siamo né il PCI né la DC, ma una forza nuova. C’è gente incapace di raccogliere anche i voti della famiglia e si permette di pontificare”. Antonella Vincenti, coordinatrice della Conferenza Donne del PD si è dimessa in quanto “nessuna donna è stata eletta perché nelle liste del Pd pugliese non c'era nessuna donna capolista, né tanto meno candidata in posizione spendibile”. Parlano tutti di un partito che in Puglia ha preso il 16%, 10 punti in meno del M5S e appena 5 in più di Forza Italia.
Insomma, all’interno del Partito Democratico un corto circuito dopo l’altro, senza il nulla al nucleo, perché manca davvero il coraggio, per abitudine e convenienza, nel fare proposte innovative e convincenti, rivoluzionarie e pragmatiche al tempo stesso. Si cercano responsabilità di vario livello, si gira intorno a sé stessi, in una giostra perenne, senza mai guardarsi allo specchio e senza mai sentirsi ridicoli (e questo è un guaio antropologico molto serio).
D’altro canto anche il M5S ha perso oltre la metà del suo elettorato, ma i leader sembrano al momento tutti contenti perché hanno superato lo 0,6 per cento che rischiavano (come è successo a Di Maio). Giuseppe Conte, uno Zelig che si reincarna in diverse sfaccettature politiche senza perdere l’aplomb, ha virato decisamente a sinistra e questo gli ha permesso di sopravvivere, di essere con il suo 15% ancora il terzo partito in Parlamento. Non penso che il Movimento possa reggersi nei prossimi anni solo sulla difesa del Reddito di Cittadinanza: anche in quel campo si rende necessario un serio chiarimento su idee, programmi, strutturazione e linea di comando.
Queste due forze hanno oggi il dovere di parlarsi e confrontarsi e forse infine fondersi in un unico soggetto politico, finalmente rispondente alle esigenze di elettori evoluti e al tempo stesso bisognosi del giusto welfare e di una forma costante di giustizia sociale. Il PD dovrebbe smettere di guardare il proprio ombelico e uscire furi dallo schema “nuovo Congresso, nuovo giro di valzer, nuovo segretario e il resto non si tocca”. Oggi è il vero momento di parlare con i ragazzi del M5S e quindi sciogliersi per fondersi con loro. Alcune regole-base del Movimento non sono altro che regole di buon senso, che dovrebbero essere assorbite in maniera più profonda da chi vuole porsi come difensore delle fasce più deboli di una società complessa. Il PD invece potrebbe portare dalla sua un maggiore radicamento storico nei piccoli Comuni, nelle realtà periferiche, dove fino a pochi anni fa c’erano militanti che si auto tassavano per tenere aperta una sede, partecipare ad una manifestazione, avere un luogo fisico dove confrontarsi.
Pensavo a delle dimissioni di massa, cari segretari e vice, portaborse e presidenti vari. Invece siete tutti ancora lì a cercare di capire come posizionarvi, cercando di lasciare il cerino acceso in mano a qualcun altro. Questo è il momento delle scelte coraggiose: sciogliere il partito è un’ottima idea, considerato tutti gli annessi e connessi. D’altro canto questo partito non è mai decollato nei cuori di nessuno ed è sopravvissuto come semplice contraltare di una destra che era impresentabile sotto molti punti di vista (Marta Fascina eletta in Sicilia – senza conoscere dove si trova Marsala - insieme a Dudù e ai cuoricini di plastica per l’amato Silvio).
Se non vogliamo che gli elettori si interessino più delle vicende legate al divorzio tra Francesco Totti e Illary Blasi, bisogna dare una scossa seria alla nostra politica: ricominciare daccapo può essere davvero utile per i progressisti ambientalisti. Qui non c’è un partito da ricostruire, c’è l’Italia da fare. C’è una Storia da recuperare e studiare, c’è una cultura da mettere al primo posto con una Scuola più organizzata, ci sono dei diritti da difendere e da acquisire, c’è una posizione su armi, ambiente e mafie da rivedere in toto. C’è da costruire una generazione che abbia ancora entusiasmo, che veda una luce in fondo al tunnel, che veda ben retribuito il proprio impegno, che sappia valorizzare l’impresa, il merito ma anche la persona. E soprattutto c’è da ricostruire il nostro rapporto con il resto del mondo, con l’Europa del Nord, ma anche, e con più amore, verso i popoli del Mediterraneo (finora visti sempre con occhio destrorso).
C’è da fare una mezza rivoluzione qui e ora e invece i vertici del PD stanno pensando che il tutto si risolva cambiando il nome da PD a “i Democratici”. Oppure rivoltando ancora la stessa minestra con una cucchiaia nuova: alcuni teoremi intoccabili andranno abbattuti e niente potrà essere come prima. Se ne facciano una ragione i padrini del cambiamento gattopardesco e del posto fisso in politica. Essa o è servizio appassionato al bene comune, oppure rimane una latrina nella quale pescare il peggio dell’umanità.
In sintesi molti di noi sognano un vero partito progressista e innovativo, che a volte sappia prendere anche le distanze dal modello americano e da quello putiniano, che sappia ritrovare una forza ideale, che sappia proteggere gli ultimi e non favorire solo chi ha già le massime protezioni. Il nome conta poco, sono importanti le idee, le storie, le facce.
39° Parallelo – ottobre 2022
Alfredo De Giuseppe