2024-07-26 "Le foto del nespolo"

Il nespolo, dicevamo, rimane il segno della nostra gioventù, delle nostre incursioni tardo-primaverili nei giardini dei vicini che avevano frutti bellissimi, di cui andavano orgogliosi, loro. Silenziosamente col petto in fuori (e noi a punirli per questo). Oggi le nespole, quei frutti dolcissimi che diventano color giallo oro, sono spesso abbandonate a loro stesse. Nessuno le cura e pochi le raccolgono. Ma io, proprio io, pare che abbia un particolare rapporto con questo frutto. Vivo da qualche anno in un appartamento che non ha giardino, né una visuale su altri frutteti, uliveti o roseti. Sono un medio cittadino tecnologico di un paese che da tempo ha rinunciato ad alcune cose. Però, c’è sempre un però quando ti metti a scrivere: il destino si diverte, il più delle volte.  

La mia casa è divisa da altra proprietà da un muro alto, difficile da scavalcare. Il terreno che sta al di là del muro è in vendita da molti anni, ma pare non incontrare un grosso interesse. Dalla mia finestra si vede il muro e un’altra sola cosa: un nespolo, un albero molto alto, che seppur abbandonato e mai curato, innaffiato, potato o altro, continua imperterrito a produrre i suoi frutti. In una quantità che ogni anno mi appare sempre maggiore, nel disinteresse dell’homo sapiens. Per fortuna, direi.

Mi alzo la mattina, dalla cucina, mentre preparo il caffè, dò uno sguardo al cielo, controllo se c’è vento, se è nuvoloso, se c’è il sole. Anche non volendo, lo sguardo ricade su quell’ultimo ciuffo di nespolo, lo osservo pochi secondi e passo oltre.

Quest’anno però ho voluto fermare quell’attimo fugace. Ogni mattina, dal 21 aprile al 21 giugno, ho fotografato quel piccolo cespuglio verde che mi si palesava davanti ai miei occhi. 60 foto in sequenza, sempre dalla stessa inquadratura. Ho dedicato 10 secondi al giorno della mia vita per afferrare il cambiamento, per capire quel frutto meraviglioso che cosa volesse diventare. E ora che ho messo in modalità cronologica le foto, che le ho riviste sul mio schermo con attenzione, mi chiedo se tutto questo ha un senso, se risponde a un ordine universale o se è la semplice storia di foto e parole, di invenzioni umane applicate al resto che ci circonda.

Non ho il pollice verde, non ho piante in casa, non conosco le migliaia di piante selvatiche che formano l’habitat del mio Sud, ma negli anni ho fotografato tanti ulivi e tante querce, a volte mi son fermato a riflettere se davvero avessero una sensibilità emotiva, più spesso ho osservato la loro bellezza, la loro maestosità, e forse anche la loro radicale diversità. E quindi 60 foto mi hanno portato ad approfondire il mio rapporto con il nespolo, anzi con il ramo che intravedo ogni mattino. Con i suoi frutti, con le sue impercettibili trasformazioni, giorno dopo giorno.

Il 21 aprile 2024, i frutti del nespolo davano ancora sul verde, quasi si confondevano con le foglie. Quelle più in alto sembravano godere di maggior prestigio, erano già più mature, sembravano le portabandiera di una buona annata. Quelle appena appena sotto sembravano guardare con ammirazione. Ma il passo era decisamente diverso. Il mondo visto dall’alto sembrava dare una lucentezza più rotonda, un orgoglio conclamato, una pittoresca e altezzosa visibilità. Eppure giovanile, ancora in crescita, ancora da definire nella loro inarrivabilità.    

Il 12 maggio 2024 le nespole avevano raggiunto la loro piena maturità. Alcuni grappoli sembravano le piccole mammelle di un animale bellissimo, che camminava insieme ad altri esseri più piccoli. Nel frattempo le prime, le più alte, le più dorate, avevano cominciato a produrre delle macchie nere, forse gli uccelli le avevano anche bucherellate. Erano troppo esposte, c’era un prezzo da pagare. Gli uccelli amano tutto ciò che brilla e più le loro ali sono possenti, più amano ingozzarsi di bellezza e bontà zuccherina.    

Dopo appena dieci giorni, il 23 maggio, le nespole avevano perso il loro tratto magico: per lo più sembravano vecchie, molte erano raggrinzite, portate verso il nero. La vita magnifica e brillante era stata molto breve, molto meno di quel famoso racconto di Hemingway. Possibile che tutto stesse già per concludersi? La loro vita, prima in fiore, poi in verde, poi in giallo stava inesorabilmente lasciando il passo al nero. C’era ancora da lottare, ma il destino sembrava segnato.

Dopo meno di un mese, il 21 giugno, arrivava l’estate. L’aria era già afosa, nessuno direbbe putrida, ma i moscerini, svolazzanti intorno alle nespole ormai avvolte in una specie di nera cartapecora,  non lasciavano dubbi: tutto era finito. Per quest’anno il processo aveva raggiunto il suo culmine. La morte delle nespole era parte del ciclo vitale, l’albero sarebbe tornato completamente verde. I frutti avevano fatto il loro tempo. Quel grosso tronco che strutturava e destrutturava ogni anno decine di nuovi rami e centinaia di nuovi frutti era ancora lì, terribilmente solo eppure resiliente. Quella che noi chiamiamo estate aveva però decretato la chiusura di un’epopea della crescita, della forza e della bellezza. Ero certo in quel momento che nessuna nespola era sopravvissuta, forse non era necessario.

Giugno 2024

Alfredo De Giuseppe

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